Amici e lettori del martedì e di tutti gli altri giorni, come state? Sempre a fare, ciascuno di voi, il vostro personalissimo Viaggio intorno alla mia camera, a rinverdire i fasti del capolavoro che Xavier de Maistre scrisse nel lontano 1794, ignaro di pandemie spagnole e cinesi?
Non bisogna arrendersi mai, ma ricominciare, e combattere sempre, ci inciterebbe, se mai lo interpellassimo, il filosofo Francesco Alberoni.
Se ce l’ho fatta io… ce la puoi farcela anche tu!, ci arringherebbe Checco Zalone.
Animo!, ci suggerirebbe Platone…Mhhhh? Qualcuno tra voi vuole forse sollevare dei dubbi in merito a quest’ultimo aforisma? Beh, non vorrete mica mettere in discussione che il grande filosofo greco abbia, almeno una volta nella vita, pronunciato questa espressione così comune?
Aggiungeremmo noi un benaugurante Siate positivi!, se questa espressione non suonasse sinistra, da un po’ di tempo in qua…
Il preambolo sin qui non suggerisce il contenuto di questa settimana, ma il tema è da far tremare i polsi al più ingobbito degli studiosi da scrivania. E anche noi che non lo siamo mai stati, non ce la sentiamo di sottacere (che non è il verbo di chi conserva gli ortaggi tagliati a pezzetti in agrodolce) la portata dell’anniversario che in questo strambo 2021 si sta consumando: i 700 anni dalla morte del sommo poeta Dante.
Ora, non pensate che da queste colonne si discetti di locuzioni, motti, latinismi, neologismi che un qualsiasi affermato critico letterario non avrebbe difficoltà a citare.
Noi vorremmo cercare di porre la nostra attenzione verso quei frammenti particolari della danteschitudine, o alighierizzazione che dir si voglia, probabilmente non ancora scavati a fondo. Forse perché troppo poco snob, pertanto ritenuti banali da quelle élite culturali del nostro paese che bollano con il termine dispregiativo di nazionalpopolare qualsiasi afflato che giunga dal popolo; così che anche quest’anno, per citare un esempio, non troveranno niente di meglio che ritirarsi in quel di Capalbio, recalcitranti al tifo che si scatenerà in occasione dei prossimi, imminenti Campionati europei di calcio.
Ma tant’è, il dado è tratto per il brodo di carne (potrebbe suggerire Giulio Cesare ad Antonella Clerici), perciò, senza tema di passare per rozzi manovali della grammatica, vorremmo qui porre in risalto il patrimonio di sostantivi (se ne contano ben 368) che il grande guelfo ci ha consegnato, in una sorta di autorevole autocitazione, tratta dal celeberrimo compendio “Occhio per occhio, Dante per Dante” del mai abbastanza compianto professor Muhammed Alì Ghieri, un vero peso massimo della cultura dantesca, autore anche di altri preziosi manoscritti, pane quotidiano per gli studenti delle facoltà di Lettere delle nostre università, come “Dante litteram”, “Armadio Dante a battente: come custodire i capolavori danteschi senza impolverarli”, “Alighieri Noschese: i mille tentativi di imitare la Divina Commedia”, “AliGhiera: la Vita Nova del bloccaggio”, “Nel mezzo del camin di nostra vita: come accendere la passione per il Sommo Poeta”.
In parole povere, spiegate al popolo: alcuni lemmi della nostra odierna lingua, giunti lemme lemme fino a noi, intrinsecano quando non addirittura contengono la parola “Dante”. E noi ve ne vogliamo porgere sintetico nonché gentile omaggio.
Abbondante. Sta a indicare l’immenso patrimonio che l’Alighieri, da un passato lontano, ci incarica di preservare, ma non solo: le cinque lettere iniziali Abbon sanciscono il legame tra il grande fiorentino e don Lisander, al secolo Alessandro Manzoni, l’altro grande letterato italiano, rappresentato in questa parola dal “suo” don Abbondio.
Badante. A ben guardare, e soprattutto a ben leggere e scrivere, Dante è settecento anni che si prende cura di noi. E non dobbiamo neppure pagargli i contributi…
Concordante. Il Vate fiorentino è certo tra le poche cose che ancora oggi riesce a tenere unito questo nostro sfilacciato paese. Ce ne vengono in mente altre? Forse Roberto Mancini e la sua nazionale, forse il recentissimo e seguitissimo programma tv LOL, condotto da Mara Maionchi e Fedez. Forse il sostantivo forse…
Pedante. Ci troviamo forse di fronte a un personaggio che fa dell’ostentazione della propria erudizione un vanto? Certo che no, è un concetto, questo oltremodo accomodante.
Ridondante. Molti nemici, molto onore. Nel suo tempo non fu capito, e soprattutto la parte ghibellina lo trattò come un nemico e lo derise. Col tempo la parola si è rivolta contro i suoi detrattori, assumendo il significato di prolisso, barocco, ampolloso, eccessivo. E ben gli sta!
Sudante. La lettura della Divina Commedia è edificante, ma impegnativa: a furia di scollinare tra cerchi, gironi e bolge, di attraversare cornici e di scalare cieli, non c’è che dire: si suda più che a fare un’ora di jogging o una seduta di fitcross!
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