La Corte Suprema dell’India salva (per il momento) la libertà religiosa nel grande Paese asiatico: è importante la vittoria ottenuta dalle minoranze religiose indiane nella sentenza dello scorso 9 aprile, quando cioè la Corte Suprema ha respinto il ricorso presentato dal membro del partito nazionalista Bharatiya Janata Party (Bjp) in merito alla richiesta di introdurre una legge nazionale che regolamentasse conversioni ad un’altra religione.
In questo modo, con questa sentenza, il massimo organismo giudiziario dell’India ha ribadito che resta inderogabile e inviolabile la libertà di qualsiasi cittadino maggiorenne a scegliere la religione che vuole: la legge invece proposta dal partito nazionalista intendeva porre un freno alle libere conversioni e avrebbe rappresentato un forte ostacolo alle minoranze religiose in India, su tutte il Cristianesimo e l’Islam. «Legge fondamentale indiana garantisce a ogni cittadino il diritto di professare, praticare e propagare la religione di sua scelta. C’è un motivo per cui la parola ‘propagare’ è scritta nella Costituzione», ha sentenziato il giudice indiano (fonte Vatican News).
LE ACCUSE CONTRO I CRISTIANI
Il vero problema rimangono i singoli Stati indiani, dove in diversi casi già è in vigore la legge anti-conversione e dai quali ha preso spunto il disegno di legge appena stoppato in Corte Suprema. Al momento sono ben 8 gli Stati indiani in cui vige la limitazione alla libertà religiosa, 4 di questi (l’Uttar Pradesh, l’Uttarakhand, il Madhya Pradesh e Gujarat, tutti a guida Bjp) hanno approvato di recente ulteriori emendamenti che estendono l’area di applicazione della norma andando a inficiare anche la sfera del matrimonio (demonizzando il “Love Jihad”, ovvero i matrimoni tra uomini musulmani e donne non musulmane). Formalmente gli Stati indiani con questa legge hanno tentato di frenare le conversioni “forzate” compiute dalle minoranze, ma di fatto è un mero pretesto per porre una museruola – criminalizzando – la libertà religiosa delle minoranze.
«La sentenza arriva al momento giusto – afferma soddisfatto Babu Joseph, ex portavoce della Conferenza episcopale indiana (Cbci) – poiché i gruppi pro-indù chiedono a gran voce una legge nazionale per vietare le conversioni, accusando i missionari cristiani di usare mezzi fraudolenti per convertire i dalit poveri e i tribali». Lo stop nazionale potrebbe essere di buon auspicio alla sospensione delle singole leggi anti-conversione degli 8 Stati indiani attualmente rigidi sulla “dottrina” nazionalista.