A una settimana circa del debutto televisivo su Sky Classica HD de La Traviata di Verdi prodotta dal Teatro Massimo Bellini di Catania, RAI3 ha trasmesso il 9 aprile in prime time La Traviata prodotta specialmente per la televisione dal Teatro dell’Opera di Roma. La produzione romana, molto annunciata e molto attesa, ha avuto un enorme successo di pubblico. “Gli altissimi ascolti dimostrano il grande apprezzamento del pubblico per la nostra nuova produzione del La Traviata”. Così il sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma Carlo Fuortes ha commentato l’esito. Il film-opera con la regia di Mario Martone e la direzione di Daniele Gatti, è stato visto da 967.000 telespettatori, con uno share del 3,9%. Il picco di ascolto è stato registrato alle ore 21.33, con il 5,2% di share e 1.424.000 telespettatori.
Non è certo il caso di raffrontare le due produzioni televisive: la prima destinata ad un canale ad abbonamento, la seconda ad una delle maggiori reti nazionali; la prima in un gioiello di architettura art nouveau di 900 posti, la seconda in una teatro di circa 2000 posti fortemente rimaneggiato due volte (negli anni trenta e negli anni cinquanta del secolo scorso); la prima affidata a tre registri (due di opera ed uno di cinema), la seconda curata da un pluripremiato regista (Mario Martone) sia di opera sia di cinema; due budget presumibilmente molto differenti.
La Traviata televisiva romana è stata certamente gradita dal grande pubblico ma ha destato perplessità in un anziano chroniquer che di Traviate ne ha viste e conosciute tante e che considera le regie dell’opera, al tempo stesso, più moderne e più vicine al pensiero e alla musica di Verdi quelle dei fratelli Herrmann, proposta un quarto di secolo fa a Londra e importata dal Teatro Regio di Parma nel 2007 e soprattutto quella di Kasper Bech Holten vista, sempre nel 2007, al Teatro Reale di Stoccolma, dove credo sia ancora in repertorio.
Se La Traviata di Catania mancava forse di attenzione alla recitazione dei ruoli minori – i tre protagonisti erano espertissimi delle relative parti – quella di Roma soffriva di un eccesso di regia. Nel primo atto, normale mostrare la casa di Violetta in un bordello di lusso, ma che necessità c’è di costringere Lisette Oropesa (Violetta) e Saimir Pirgu (Alfredo) ad essere sdraiati sulle scale (posizione scomodissima per cantare) il duetto, mentre fervono le danze nel foyer del prim’ordine di palchi. Il Sempre libera di un’Oropesa che si dimenava sul palco è riuscito malissimo. Peggio ancora il secondo atto: si svolge su un palcoscenico con un lettone e una foresta di alberi parte dei quali crollano al momento della “rinunzia”: mentre Pirgu canta Or vanne, andrò a Parigi si vedono immagini filmate di Alfredo in carrozza sull’Appia Antica.
La Oropesa è in pantaloni attillati poco adatti alle emissioni di Ah, dite alla giovine ed ancor meno di quell’Amami, Alfredo che dovrebbe segnare lo spartiacque tra una vocalità di soprano leggero di coloratura ed una di soprano drammatico. Roberto Frontali è un Giorgio Germont ligneo.
Nel secondo quadro del secondo atto, si torna nella platea del Teatro adattata ad una festa da lupanare: trionfa il lampadario del Teatro, bellissimo, e finalmente la Oropesa ha un bel costume. Il duetto Invitato a qui seguirmi viene, però, cantato in posizioni scomodissime, con i risultati che si possono immaginare. Soprattutto, il grande concertato finale (uno dei brani più belli di Verdi) viene oscurato da un filmato alla Terme di Caracalla di un duello tra Alfredo ed il Barone (Roberto Accurso) che pare perire, anche se il libretto dice Il Barone fu ferito. Però migliora. Nel terzo atto, a Addio del passato e a Parigi, o cara vengono sovrapposte immagini delle feste del primo e del secondo atto ed il coro carnevalesco che dovrebbe essere fuori scena avviene nei corridoi del Teatro dell’Opera. Violetta muore tra un Alfredo che recita e canta con trasporto ed un Giorgio ligneo come sempre.
Difficile esprimere giudizi su Lisette Oropesa nell’arduo ruolo, viste le condizioni in cui doveva cantare: la prima parte lirica di coloratura è parsa migliore della seconda da soprano drammatico. Di Frontali si è detto. Tra i tre protagonisti eccelle Pirgu, che ho ascoltato più volte, anche al Teatro dell’Opera di Tirana in un concerto nel 2011; grande presenza scenica ed ottima emissione anche in condizioni difficili.
In questo bailamme, anche Daniele Gatti non sembrava più lui: la passione indubbiamente c’era, ma i tempi erano o troppo lenti o troppo veloci.
Per completare l’informazione, Anastasia Boldyrevaveste i panni di Flora. Molti gli artisti di “Fabbrica” Young Artist Program dell’Opera di Roma a essere coinvolti in questa produzione: Angela Schisano (Annina), Arturo Espinosa (Marchese D’Obigny) e Rodrigo Ortiz (Gastone), mentre Andrii Ganchuk sarà il Dottor Grenvil. Completano il cast Michael Alfonsi (Giuseppe), Leo Paul Chiarot (un domestico) e Francesco Luccioni (un commissario). Sul palcoscenico anche il Coro dell’Opera di Roma, diretto dal maestro Roberto Gabbiani, e il Corpo di Ballo, diretto da Eleonora Abbagnato, interprete delle coreografie di Michela Lucenti. Anna Biagiotti firma i costumi, mentre le luci sono di Pasquale Mari.
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