In un’intervista di Valentina Conte su La Repubblica, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha messo le carte in tavola, ma le ha tenute coperte. È difficile capire, così, quale sia il suo gioco, ammesso e non concesso che abbia già maturato un orientamento definito. In questo caso, però, la reticenza non è il tratto del carattere di un ligure come il ministro, ma la conseguenza – Orlando lo ammette – di una scelta strategica del Governo: “Se non si mette sotto controllo il virus non ci può essere un ritorno ad una dinamica economica normale”. Così alla richiesta di qual è il piano del governo per riaprire il Paese, Orlando risponde secco: “Il piano è la vaccinazione, la riapertura è la conseguenza”.
Ci eravamo illusi quando Mario Draghi, nell’ultima conferenza stampa, aveva espresso, con una diversa combinazione delle stesse parole di Orlando, un altro concetto: “Il miglior sostegno alla economia sono le riaperture”. Le persone che protestano nelle piazze non si accontentano più dei “ristori” o dei “sostegni” disposti ed erogati. Non ne chiedono altri di maggiore importo; rivendicano di poter lavorare, di riaprire le loro attività economiche prima di doverle chiudere per sempre. Che cosa significa “mettere sotto controllo il virus”?
Sempre in occasione della conferenza stampa Draghi ha fatto – en passant – un’affermazione molto significativa, quando ha sottolineato che dovranno essere stipulati dei nuovi contratti con i Big Pharma, perché sarà necessario procedere a ulteriori vaccinazioni della popolazione nei prossimi anni, a fronte delle variazioni del virus. Per quanto tempo, allora, sarà possibile proseguire nella linea delle chiusure/ristori, concentrando le misure di contenimento prevalentemente su alcuni settori dei servizi e del turismo che – messi assieme – determinano la quota più importante del Pil e dell’occupazione? È più di un anno che questi settori sono costretti a sopravvivere di assistenza, sia sotto forma di sostegni al reddito sia di parziali surrogati di fatturati e ricavi impediti dalle chiusure sincopate a cui questi settori sono stati sottoposti.
Il 17 febbraio, parlando al Senato, Draghi diede l’impressione di voler superare quella strategia dei “due tempi” – prima l’emergenza, poi le riforme – che poi non era mai riuscita a liberarsi del primo. “Il Governo – affermò – farà le riforme ma affronterà anche l’emergenza. Non esiste un prima e un dopo”. I classici “100 giorni”, ma di riforme non vi è traccia. Bene che vada il Governo presenterà il Pnrr (divenuto ormai un “oscuro oggetto di desiderio”) pochi minuti prima che suoni la campanella. Ma anche il ministro Orlando, nella sua intervista, rimane nel vago. Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali fa capire che non ritiene convincente il lavoro predisposto dal ministro Nunzia Catalfo e che sta negoziando con i sindacati misure di estensione (un concetto più limitato dell’universalismo sbandierato dal Governo precedente).
A proposito di Cig è bene non trascurare un dato che dimostra che i processi produttivi sono andati meglio (o meno peggio) del previsto. Rispetto ai 4 miliardi di ore autorizzate le aziende ne hanno utilizzate meno di 2: un dato che ha fornito un po’ di ristoro ai conti dell’Inps che hanno in generale visto aumentare notevolmente la spesa per prestazioni. Quanto al blocco dei licenziamenti, Orlando non si sbottona, ma lascia intendere un’opinione discutibile. Alla domanda della giornalista “Condivide lo spettro di una jobless recovery, una ripresa senza lavoro?”, il ministro risponde: “Questo significa che il blocco dei licenziamenti è stato tutt’altro che inutile. Il rischio comunque esiste”. Perché allora non riconoscere che il blocco ha tenuto a bagnomaria posti di lavoro ormai finti e che, quando si tornerà sia pur gradualmente alla normalità, sarà molto più difficile gestire gli esuberi quantificati dalla Confindustria in poco meno di 400mila unità?
Su questa strada l’intervista va a sbattere contro il tema delle politiche attive del lavoro. Il ministro informa che saranno assunti (oltre la proroga dei contratti dei 2.800 navigator) più di 11.000 addetti ai Centri per l’impiego “passando per concorsi che tengano conto della selezione superata”. Gli interventi destinati a sperimentare nuove politiche attive saranno i patti territoriali, attraverso i quali affrontare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Quanto all’Anpal si vedrà. E sulle pensioni: taci, il nemico ti ascolta.
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