Nonostante la chiamata alle armi e gli appelli allarmistici di taluni illustri magistrati e giuristi, è giunta inesorabile la decisione della Corte costituzionale che ha, ieri pomeriggio, “commissariato” l’attuale disciplina che regola l’ergastolo ostativo. I più attenti si ricorderanno che nell’autunno di due anni fa ci eravamo già occupati della questione in occasione della decisione della Corte europea che aveva stabilito come il citato “ergastolo ostativo” fosse da ritenere violativo dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani. Quanto ha deciso ieri la Corte costituzionale nasce da lì e già in quell’occasione avemmo modo di mettere in guardia i lettori dal pericolo legato all’ennesima campagna di disinformazione; warning che va ora evidentemente riformulato, provando a fare un po’ di chiarezza per diradare nuovamente timori ingiustificati.
Ricordato che l’ergastolo ostativo rappresenta la condanna al carcere a vita senza poter accedere a permessi e benefici previsti dalla legge per i detenuti comuni che nel nostro sistema si applica a coloro i quali sono condannati per reati legati alla criminalità organizzata o al terrorismo, e che tale ostatività può essere superata solo quando il condannato decida di collaborare con la giustizia, ovvero dimostri che pur volendolo fare non può svelare altri fatti e scenari non noti alla autorità giudiziaria, urge subito chiarire i reali contenuti della sentenza della nostra Corte costituzionale.
A spiegarlo è un comunicato stampa della stessa Consulta, che afferma come la Corte ha esaminato le questioni di legittimità sollevate dalla Corte di cassazione sul regime applicabile ai condannati alla pena dell’ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia e che chiedano l’accesso alla liberazione condizionale stabilendo che tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Tuttavia l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata e per questo i giudici hanno deciso di concedere un tempo supplementare alla politica, stabilendo di rinviare la trattazione delle questioni a maggio 2022, per consentire al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi.
Facciamo attenzione. Il Parlamento ha 12 mesi per modificare, non travolgere o cassare, l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario e il decreto legge 306 del 1992, approvato dopo la strage di Capaci. Non viene quindi ad essere bocciata l’ostatività dell’ergastolo, ma il suo attuale regime applicativo, ovvero la previsione che la sua revoca possa solo ed esclusivamente essere legata alla collaborazione del condannato. In sostanza si tratta da parte del legislatore di trovare percorsi di uscita dall’ostatività dell’ergastolo alternativi all’obbligatoria collaborazione con la giustizia.
Il nostro Parlamento, come aveva già anticipato la Corte europea, deve pertanto mettere a punto una riforma del regime della reclusione a vita che garantisca la possibilità di un riesame della pena senza fine. Il riesame della normativa dovrà permettere all’autorità giudiziaria di determinare se, durante l’esecuzione della pena stessa, il detenuto si sia evoluto e abbia fatto progressi tali da non giustificare più il suo mantenimento in detenzione. La Corte europea, d’altronde, pur ammettendo che lo Stato possa pretendere la dimostrazione della dissociazione dall’ambiente mafioso, aveva evidenziato che tale rottura può esprimersi anche in modo diverso dalla collaborazione con la giustizia e senza l’automatismo legislativo attualmente vigente.
Nulla quindi di particolarmente allarmante, nessun “liberi tutti”. Non a caso, all’udienza pubblica della Consulta si era registrato un significativo cambio di linea del governo. In un primo momento l’avvocatura dello Stato aveva chiesto di considerare inammissibile la richiesta della Cassazione, cioè quella di dichiarare incostituzionale la norma che vieta ai condannati al fine pena mai per fatti di mafia e terrorismo di accedere alla liberazione condizionale se non collaborano con la magistratura. Durante l’udienza pubblica, invece, l’avvocato dello Stato ha invitato la Consulta a emettere una sentenza interpretativa di rigetto attraverso la quale la Corte non dichiarasse incostituzionale la norma sull’ergastolo ostativo, riconoscendo al giudice di sorveglianza il potere di valutare a sua discrezione caso per caso.
Francamente poco opportuna si palesano allora quei commenti che ritengono come nel silenzio generale si stiano realizzando alcuni degli obiettivi principali della campagna stragista del 1992-1994 con lo smantellamento del sistema complessivo di contrasto alle organizzazioni mafiose ideato e voluto da Giovanni Falcone.
Al contrario, la decisone assunta dai giudici costituzionali va nella direzione della piena valorizzazione della funzione rieducativa della pena particolarmente cara alla ministra Cartabia, sebbene, a leggere le agenzie, sul fronte politico, la sentenza della Consulta sembra aver scontentato tutti, dalla Lega ai 5 Stelle ai radicali, con sfumature evidentemente assai diverse.
Ciò che occorre ribadire è che la decisione della Corte costituzionale, come quella della Corte europea che l’ha “ispirata”, non induce alcun automatismo: si tratterà di verificare come il nostro legislatore riterrà di operare; in ogni caso una discrezionalità dei giudici e nessun automatismo abolitivo si profila all’orizzonte.
I sentimenti dei familiari delle vittime di crimini orribili sono al primo posto tra le nostre preoccupazioni, nondimeno i diritti umani si devono applicare a tutti e francamente siamo contrari all’idea che a determinate persone non si applichi il criterio della rieducazione della pena. Semplicemente spetterà al giudice valutare caso per caso. I Riina non godranno di nessuna agevolazione se non all’esito di una attenta valutazione. Ma ciò non basterà a spegnere le polemiche e le strumentalizzazioni “ostative” dei principi costituzionali.
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