Della pandemia c’è l’oggi, ci sarà un domani e un dopo ancora ma…. i problemi di ieri saranno ancora dinnanzi a noi insoluti. Le migrazioni, per esempio, di gente ancor più disperata e manco vaccinata, con noi a contrapporre fobìe e filìe varie ed eventuali. Sai, quando sei per l’inclusione sei progressista; ti pensi solidale, stai con chi lavora, con chi ha bisogno; ti scorgi fuori luogo in un luogo che non accetta l’altro. Sai come sei: ti vuoi bene, vuoi bene al tuo bene, al bene che fai. Fai incetta di onore se accetti quei guai: un fare senza prezzo.
Altri di noi invece no, non ci stanno. Escludono. Chiusi nelle comunità di se stessi, pseudo speciosi; timorati del prossimo che preda lavoro, attenta al benessere, mangia il nostro mangiare. Voi, che fate il prezzo, voi: brutti sporchi e cattivi. In mezzo stanno loro: gli altri.
Chiari a noi, scuri a voi; disoccupati e occupanti. La fame, il lavoro, la dignità li muove fuori di casa, fuori da loro. In questo sogno disperato, sono. Questo sogno divide, questo sogno sconfigge tutti: buoni, cattivi, diseredati. Noi, sopraffatti da un afflato diseconomico, scorgiamo nulla di una crisi che morde, ignari di redditi vieppiù insufficienti, di acquisti in pressione. Voi, appesi ai vostri interessi, che delle virtù economiche fate misfatto, negate il Pil degli esclusi, il loro focillo a un erario ingordo e quel tanto lavoro mal pagato.
Loro e il loro migrare; costretti dal ricatto economico a umanità disumanate. Occorre andare oltre quest’oggi infame, gravido di affanni e cattivi presagi. Tocca fare vessillo di un tornaconto immediato. Di voi compagno, di voi vicino, mi faccio mentore. Il tono, quello aduso ai saccenti. Tra il lusco e il brusco di una notte in “zona arancione”, sogno un’impresa titanica e risoluta che allevi povertà, scuota inerzie, scardini barricate, appiani differenze, coccoli identità; disilluda i buoni, stemperi fobìe. Un sogno cinico: la domanda comanda!
Domanda potente, risoluta di chi, per mestiere, spende, acquista, produce ricchezza smaltendo l’eccesso di merci che ingrassa, inquina, spreca, indebita. Se accade che insieme a quella folla migrata si saturi il mercato del lavoro, si riducano i redditi; se tutti insieme si consumi quell’eccesso di merci e non scendano i prezzi; il meccanismo si impalla, l’equilibrio salta, et voilà la crisi: nulla di più, nulla di meno. Questa l’agenda del nostro fare, del fare in fretta: tocca investire, facciamo debito, altro debito, debito tattico. La strategia: la nostra forza, un po’ di mosse, scacco matto. Un contratto di gestione farcito di adempimenti, vantaggi, oneri e penali per smaltire quell’eccesso di offerta. Chi consuma lo scrive, chi produce lo firma.
Acquistiamo tutto, consumiamo il possibile; quel che resta, impacchettato e inviato verso lidi poveri. Avrà meno sprechi chi ha più, più opportunità chi ha meno; meno obesi nel mondo ricco, più nutriti nell’altro; meno moda che passa di moda, più vestimento per gli ignudi; troppo informati per conoscere di qua, quel troppo di là per informare chi non sa. Elisir per le nostre filìe. Elisir per le vostre fobìe: così se ne stanno finalmente a casa loro, finalmente si respira. Loro che stanno ancora lì potranno tirare il fiato: vivaddio scegliere. Spicchi di possibilità: fuggire, restare, partire. Risultato: gestione del rischio, riduzione della condizione precaria.
Ce n’è per tutti, pure per chi scalpita per avere ristoro dagli investimenti di capitale fatti a debito. Voilà les jeux sont faits: controllo dei flussi migratori; diminuzione della pressione sulla domanda nel mercato delle merci e su quello del lavoro; gestione dei prezzi. Ullallà, una cuccagna.
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