La differenza di genere è un problema anche per la ricerca scientifica sul Covid. Lo dimostra il caso dei vaccini e delle reazioni avverse che, seppur rare, sono comunque più frequenti tra le donne sotto i 60 anni. Questo per l’immunologa Antonella Viola, direttrice scientifica dell’Istituto di Ricerca Pediatrica-Città della Speranza di Padova e Professoressa Ordinaria di Patologia Generale, ha una spiegazione. «Le donne hanno risposte spesso caratterizzate da maggiore efficacia ma anche da maggiori effetti collaterali. Anche nel caso dei vaccini anti-Covid19, gli effetti collaterali, da quelli più lievi a quelli più gravi, riguardano prevalentemente la popolazione femminile», ha scritto in un articolo pubblicato su La Stampa. Per questo ritiene importante che gli studi clinici analizzino i dati di sicurezza ed efficacia non ignorando le differenze di genere. «E anche adesso, nella valutazione dei rischi e benefici associati al vaccino di AstraZeneca e di Johnson&Johnson, la discussione non dovrebbe essere generalizzata ma dovrebbe altresì includere un’attenta analisi sulla base del genere».
La professoressa Antonella Viola coglie l’occasione anche per attaccare l’industria farmaceutica, perché «per troppo tempo le donne sono state ignorate». Quindi, sono stati prodotti «ottimi farmaci per curare maschi adulti senza spendere troppe energie per capire se e come modificarli per l’uso nella popolazione femminile». Quindi, per l’immunologa è arrivato il momento «di cambiare strategia». Per riuscirci, però, «non basterà includere le donne negli studi clinici e nei processi di farmacovigilanza, ma sarà necessario fare uno sforzo maggiore: bisognerà analizzare i dati partendo dalla consapevolezza che siamo biologicamente, e quindi farmacologicamente, diversi».
VIOLA SU VACCINI E DIFFERENZE DI GENERE
La situazione per Antonella Viola è paradossale, perché siamo nell’era della medicina di precisione e personalizzata non si capisce che uomini e donne sono diverse anche per il Covid. «Ancora oggi la maggior parte degli studi pre-clinici, quelli che si effettuano sugli animali, coinvolgono prevalentemente maschi, perché le femmine danno risposte più variabili e quindi complicano le analisi». Di conseguenza, le donne sono meno rappresentate. Questo però, come evidenziato dall’immunologa sulle colonne de La Stampa, ha delle conseguenze, ad esempio «si arriva nelle fasi più avanzate di sperimentazione senza dati solidi sull’efficacia o sugli effetti collaterali di un farmaco nella popolazione femminile». Proprio il Covid ha insegnato quanto il genere incide nella risposta al virus. Ad esempio, è emerso che gli uomini hanno un rischio maggiore di avere una forma grave e di morire rispetto alle donne. «Questo dipende da diversi fattori, alcuni dei quali passano per una risposta immunitaria più forte e maggiormente protettiva nelle donne, soprattutto in quelle giovani. Le donne, per il loro ruolo di madri, hanno sviluppato un sistema immunitario più reattivo, proprio per proteggere il feto dagli attacchi dei patogeni».
La professoressa Viola evidenzia che questa reazione si nota non solo nelle infezioni, ma pure nelle risposte ai vaccini. «Le donne hanno reazioni immunitarie più forti: nella vaccinazione contro l’influenza, per esempio, una donna potrebbe ottenere la stessa risposta immunitaria di un uomo con solo metà dose. E sappiamo anche che questa maggiore resistenza alle infezioni è pagata dalle donne a caro prezzo: circa l’80% dei pazienti affetti da patologie autoimmuni è infatti costituito da donne. La forte reattività del sistema immunitario femminile espone maggiormente le donne agli errori, soprattutto durante il periodo riproduttivo».