Per avere semplicemente rilanciato sui propri account social le considerazioni critiche dell’attivista LGBT (già parlamentare Pd) Paola Concia in merito al Ddl Zan, la senatrice Valeria Valente ha subito non poche contestazioni tanto su Facebook quanto all’interno del suo stesso partito. Oggi l’Avvenire l’ha raggiunta per una nuova intervista sul tema, dopo aver ospitato proprio Concia solo una settimana fa, tra le pochissime voci in “contrasto” alla legge contro omofobia e omotranfobia nell’area di Centrosinistra.
«Contro l’omofobia e la transfobia serve un testo migliore, che superi le ambiguità e su cui possa convergere un consenso più largo», spiega l’ex renziana ai colleghi di Avvenire. Dopo il post in cui veniva insultato nel suo essere donna e madre, Valente non recrimina «non mi sono sentita sotto attacco. Anche perché sarebbe paradossale che chi promuove una norma che ha l’obiettivo di affermare il rispetto della dignità della persona considerasse il richiamo al dialogo come un modo per cercare visibilità anziché un contributo di idee…». Il clima è tutt’altro che semplice in Parlamento in merito al Ddl Zan, come rivela lo scontro in Aula oggi al Senato tra il capogruppo Lega Romeo e gli altri capigruppo della maggioranza, Pd compreso.
COSA NON VA NEL DDL ZAN
Secondo Valeria Valente l’Italia deve dotarsi di una legge contro l’omofobia e la transfobia, «La storia e l’identità di un Paese come il nostro lo richiede. Personalmente approverei il testo del ddl Zan con alcune modifiche, ed è per questo che trovo gravissimo che la Lega – che presiede la Commissione Giustizia al Senato con il presidente Andrea Ostellari, ndr – ne abbia impedito la calendarizzazione e di conseguenza anche la discussione». Per la senatrice Dem però, sposando la linea Concia, sarebbe stato meglio «introdurre le aggravanti generiche per tutti i reati commessi sulla base dell’orientamento sessuale delle persone nella prima parte del Codice».
Ma al Senato, rispetto a quanto non avvenuto alla Camera, potrebbe esserci lo spazio di queste modifiche aggiunge Valente: «avrei evitato un elenco che nelle intenzioni è dettagliato ma che in realtà potrebbe risultare complicato interpretare e applicare in fase di giudizio». In particolare, per la presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere, l’espressione “identità di genere” è già di per sé problematica: «rischia di creare da una parte problemi di applicazione della norma. Inoltre, rischia di creare conflitti nello stesso campo progressista, ad esempio con parte del mondo femminista che con buone ragioni vede il rischio di confusioni e passi indietro rispetto a conquiste fatte». Una seconda obiezione al Ddl Zan, mostrata dalla senatrice Pd ad Avvenire, riguarda l’elencazione delle categorie meritevoli di tutela: «eviterei l’espressione “sesso”, ovvero le donne. Il tema della violenza contro le donne, infatti, nel nostro ordinamento è già affrontato in modo specifico, perché ha un’altra radice rispetto all’omofobia e alla transfobia». Secondo Valeria Valente tenere assieme in una stessa legge il contrasto all’omofobia e la violenza contro le donne è sbagliato e dannoso: nel secondo caso, «La radice non è il disprezzo dell’altro o della differenza, come nell’omofobia, bensì l’atteggiamento possessivo e proprietario». Qualche sassolino dalla scarpa “finale” viene tolto da Valente contro il suo stesso partito: «manca dibattito nel Pd? A un certo punto alla Camera c’è stata la valutazione della necessità di accelerare, ma il deficit di discussione si può recuperare in Senato: occasione preziosa per mettere a punto una legge migliore».