L’incertezza sul quadro economico europeo sarà l’elemento dominante per le decisioni della Bce di questo pomeriggio. In questa fase è molto difficile stimare la velocità della ripresa dell’Europa continentale a causa dell’incertezza sulle riaperture che seguono scadenze molto diverse tra i vari Paesi membri. Nella maggioranza delle analisi pubblicate in vista dell’incontro di oggi si assume un approccio interlocutorio in attesa di giugno quando il quadro della ripresa, delle vaccinazioni e delle riaperture sarà più chiaro. È possibile che venga data qualche indicazione sull’approccio che la Bce intende adottare da giugno, ma per ora l’andamento degli acquisti della banca centrale non dovrebbe cambiare.
Negli ultimi mesi la Banca centrale europea, in buona compagnia, è riuscita a contenere il rialzo dei rendimenti delle obbligazioni statali e societarie e i mercati sono rimasti in salute con gli investitori che hanno potuto giocare d’azzardo scommettendo indistintamente su una ripresa che in questo momento in alcuni settori, si pensi a quello del trasporto aereo, non si vede minimamente e che probabilmente non arriverà prima del 2022. Il supporto all’azione delle banche centrali è praticamente unanime perché le chiusure hanno avuto effetti pesanti sia sull’economia che sui bilanci statali e i debiti, a tutti i livelli, sono saliti ancora.
Forse è troppo presto per provare a mettere la testa fuori dall’emergenza, ma lo scenario in cui viviamo è più complesso dell’apparenza. La mole di debito che è stata fatta negli ultimi 15 anni, almeno dalla crisi Lehman, è stata la risposta alle crisi finanziarie e le banche centrali sono immancabilmente intervenute. Oggi i debiti, pubblici e privati, sono molto superiori a 15 anni e fa e, anche per questo, qualsiasi rialzo dei tassi ha effetti molto più grandi e deve essere posticipato. Le banche centrali dovendo difendere il funzionamento e la fiducia dei mercati hanno tenuto a galla i prezzi degli attivi finanziari, dalle azioni alle obbligazioni, passando per le quotazioni immobiliari. Prima sono stati salvati Stati e mercati, poi è arrivata la ripresa che ha coinvolto a cerchi concentrici il resto della popolazione.
Gli effetti asimmetrici sulla popolazione delle politiche delle banche centrali sono noti almeno dal 2009 e sono finiti nei discorsi di almeno un presidente della Fed (Janet Yellen) che avvisava dei pericoli di un divaricamento tra “ricchi” e “poveri” nella società americana senza precedenti. Chi ha asset quotati o immobiliari ha beneficiato di un effetto ricchezza rispetto a chi non li aveva; i prezzi artificialmente alti, per esempio degli affitti, sono una conseguenza che hanno pagato i “poveri”. In questa disamina si è forse trascurato un secondo effetto “generazionale”. I risparmi sotto forma di immobili o investimenti sono molto meno diffusi nelle giovani famiglie che hanno un reddito da lavoro ma devono, per esempio, ancora comprare la casa e si ritrovano a competere con soggetti, investitori ma non solo, che beneficiano delle politiche delle banche centrali per tenere alte le quotazioni.
Mentre tutti si concentrano sull’emergenza finanziaria sfuggono le conseguenze, che pure sono evidenti ormai da tempo, di politiche che ciclicamente ripropongono le stesse ricette e che anche a queste latitudini hanno generato un mercato immobiliare, per esempio a Milano, con prezzi in salita anche nel mezzo di una crisi severa che ha fatto molti disoccupati. Sono ricette che non sono estranee al crollo della natalità nella misura in cui penalizzano le classi che non hanno asset finanziari, tra cui certamente le giovani famiglie, rispetto a quelle che ne hanno.
La montagna di debito che viene mantenuta e “difesa” e che monta da dieci anni costringe a rispondere sempre nello stesso modo pena la caduta rovinosa dei mercati. Si potrebbe provare a uscire da questo vicolo cieco solo con una crescita dell’economia superiore a quella del debito. Le altre soluzioni, inclusa la cancellazione del debito, non sono altro che una continuazione fino alle estreme conseguenze dell’approccio attuale. È difficile però crescere strutturalmente se la platea di potenziali consumatori si riduce ogni anno.
Ciò che sembra una soluzione inevitabile e “matematica”, le politiche attuali, non è altro che una decisione politica che ha vincitori e sconfitti. Alla fine il conto arriverà comunque ed è meglio evitare che, in emergenza, ci si trovi impreparati e costretti dagli eventi ad accettare soluzioni che sono in realtà assolutamente “politiche”.
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