Nel governo si è consumato il secondo vero psicodramma in due mesi e mezzo di vita non particolarmente agitata. Il primo lo aveva causato il Pd sulle cartelle esattoriali. L’oggetto del contendere stavolta è l’orario del coprifuoco notturno entro il quale fare ritorno a casa (verrà rivisto entro il 1° giugno), previsto nel nuovo decreto legge che riapre il Paese. Alle 22, scadenza in vigore dall’autunno scorso, oppure alle 23, come chiedeva Matteo Salvini e la maggioranza delle Regioni con lui?
La domanda da porsi è se davvero la Lega avrebbe sgambettato il governo per una sola ora di differenza. Potrebbe per molti sembrare un’inezia, in realtà è un’ora che cambia la vita ai ristoratori ancora vessati da questo ultimo decreto legge. E un’ora in più fa la differenza anche per quegli italiani che magari nel weekend vorrebbero banalmente andare a trovare di sera qualche parente o amico. Ci si chiede, dall’altra parte, cosa cambi, in termini di contagi, una sola ora di apertura in più. Il premier dopo essersi posto l’interrogativo è stato pure il più deciso a rispondere “no”. Mario Draghi ha tenuto duro e la Lega ha dovuto masticare amaro. Quando il decreto legge arriverà in aula per il voto, i leghisti si asterranno. Il provvedimento passerà e il governo comunque non subirà scossoni.
È chiaro che l’ora di coprifuoco non esaurisce tutti i motivi dei contrasti. Il vero fulcro della contesa è politico, ed è il senso della presenza della Lega in un governo che inevitabilmente deve tener conto e far convivere posizioni quasi sempre inconciliabili. Per un verso, Salvini ripropone lo schema applicato nel primo governo Conte: pressing a tutto campo in modo che gli altri siano sempre costretti a rincorrere. Sulle riaperture questo schema ha funzionato. La Lega si è posta come portabandiera dell’ammorbidimento e di fatto ha avuto ragione.
Ma questo non è il Conte 1 e soprattutto Draghi non è l’avvocato del popolo, cioè un premier debole che deve fare da mediatore tra due forze politiche lontane. Draghi “è” questo governo, e se decide di riaprire i ristoranti, riportare gli studenti in aula e reintrodurre il giallo tra le regioni non lo fa per dare un colpo alla Lega e un altro colpo al Pd. No, la decisione è sua. Draghi non governa con il manuale Cencelli, che pure deve usare per non scontentare troppo nessuno, ma impone la sua autorevolezza seguendo una linea che sicuramente non è quella di Conte né di Speranza, ma nemmeno quella di Salvini, al quale ha già pure fatto larghe concessioni. E questo è uno dei problemi del leader leghista: molte decisioni del Governo che vanno nella direzione da lui voluta non appaiono vittorie sue ma valutazioni targate Draghi.
L’altro corno del dilemma leghista è il rapporto con gli alleati (ex?) del centrodestra. Draghi ha sicuramente scompaginato i rapporti tra Pd e M5s, al punto che Nicola Zingaretti ha dovuto lasciare la segreteria democratica; ma ha pure frammentato il versante opposto. Qui adesso la situazione è la seguente: Forza Italia è totalmente con Draghi, Fratelli d’Italia totalmente contraria, mentre la Lega si muove e decide in libertà, un po’ di qua e un po’ di là, a seconda dei provvedimenti. La contraddizione è esplosa proprio ieri, quando è stata calendarizzata per la settimana prossima la mozione di sfiducia contro Roberto Speranza presentata dai parlamentari di Giorgia Meloni. Che fa la Lega al governo? Di sicuro non può votare contro un ministro (ma tre mesi fa eccome se lo avrebbe sfiduciato). Allo stesso tempo non può farsi togliere troppo terreno da sotto i piedi dalla destra, e così decide di astenersi sul coprifuoco e di alzare la posta sulle riaperture nonostante che questo decreto legge sia il più “aperturista” degli ultimi 9 mesi.
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