Una serie di casi di malaffare nella giustizia italiana, che si scopre essere tutt’altro che pulita. Come se non fosse bastato il caso Palamara. Eppure, come ci ha detto in questa intervista Frank Cimini, già corrispondente de Il Mattino di Napoli, veterano della giudiziaria e fondatore del blog “giustiziami”, “non si viene mai a capo di niente.
La domanda è sempre quella: chi controlla i controllori?”. Non è un caso allora che di fronte alla prospettiva di una commissione parlamentare d’inchiesta sullo stato della giustizia in Italia proposta dal ministro Gelmini l’ex procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, si sia scagliato contro in modo preventivo, tra l’altro facendo un chiaro tentativo discriminante nei confronti di Grillo, da lui bellamente ignorato nonostante abbia cercato di far pressione sui magistrati.
“È ovvio” ci ha detto ancora Cimini, che “Bruti Liberati è parte in causa per come ha gestito il caso Expo, è persona informata dei fatti, sa cosa è successo, sa quello che è stato combinato con Expo, praticamente le indagini non le ha fatte”. Cimini è comunque scettico sull’ipotesi di una commissione di inchiesta: “In Italia non hanno mai portato a niente, con questa classe politica poi che non sa prendere alcuna decisione, sarebbe del tutto inutile”.
I casi di malaffare della giustizia italiana spuntano uno dopo l’altro: l’ultimo è l’iscrizione nel registro degli indagati dell’ex ministro Patroni Griffi, presidente del Consiglio di Stato, che avrebbe indotto l’avvocato Piero Amara (indagato con la stessa ipotesi di reato) a non licenziare Giada Giraldi, sua amica. Questo ultimo è noto per il cosiddetto “Sistema Siracusa”, di cosa si tratta?
Non è niente di nuovo, è un sistema di scambi di favori tra magistrati e intermediari. Il problema è che di queste cose non si viene mai a capo perché ci sono di mezzo gli avvocati, è qualcosa di allucinante.
Si sta poi riaprendo il caso Palamara, perché è venuto fuori che la società specializzata in intercettazioni, Rcs, ha messo il trojan nel suo cellulare. Solo che le intercettazioni non finivano in procura o alla Guardia di finanza come prevede la legge, ma nella sede di Napoli della società stessa.
È l’ulteriore dimostrazione che ci troviamo di fronte a un sistema da cui è impossibile uscire fuori. Stanno indagando sia a Napoli che a Perugia, la cosa impressionante è che a Perugia indaga chi è parte in causa, la Guardia di finanza. La domanda è sempre quella: chi controlla i controllori?
Questo trojan non trasmetteva alla procura o alla Guardia di finanza come prevede la legge, ma i dati venivano custoditi dalla società stessa. Perché?
Queste intercettazioni dovevano essere albergate in procura a Roma, invece finivano in un server della società a Napoli. Il procuratore di Napoli ha detto che lui non ne sapeva niente e per questo stanno indagando per capire perché. Se prove come queste stanno dove non devono stare vengono viste da persone che non devono vederle e possono venir manipolate.
Cosa potrebbe succedere nel caso Palamara a questo punto?
Potrebbe succedere che quelle intercettazioni che hanno portato alla sua radiazione dall’ordine giudiziario possano essere considerate inutilizzabili e potrebbe anche essere revocata la sua cacciata. Bisogna vedere se trovano il modo per andare avanti, ma il problema non si risolve se non vai alla radice.
Che cosa intende?
Si presenteranno altri casi analoghi nella prossima indagine e chissà quanti casi come questi ci sono stati di cui noi non sappiamo niente. Il responsabile di Rcs ha cambiato versione, aveva detto che non sapeva nulla ma ora ha dovuto ammettere. Siamo in mano a persone che hanno incarichi di grande responsabilità, poteri enormi, ma non si capisce come usano gli strumenti a disposizione ma soprattutto a chi rispondono.
Si parla di una commissione di inchiesta parlamentare sullo stato della giustizia, che ne pensa?
Sono d’accordo con l’avvocato Pecorella, non servirebbe a niente.
Perché?
L’unica cosa che servirebbe a mettere fuori dal Csm la sezione disciplinare, dandola in mano a un’autorità terza fatta da giuristi, avvocati, professori universitari. Forse l’unica commissione di inchiesta in Italia che è servita veramente è stata quella della prima antimafia ai tempi in cui c’era gente che negava l’esistenza della mafia. Al fine di definire almeno che la mafia esisteva la commissione è servita, però non è servita a scoprire chissà che.
L’ex procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati si è scagliato contro una tale ipotesi, secondo lei perché?
Certo. Lui è persona informata dei fatti, sa cosa è successo, sa quello che è stato combinato con Expo, praticamente le indagini non le ha fatte. È venuta fuori la storia della nomina di Marco Ciacci al posto di Barbato ma tutti parlano della nomina di Ciacci a capo dei vigili di Milano al posto di Barbato perché raccomandato dalla procura. Il problema è che nelle indagini su Expo Sala è stato miracolato, e probabilmente il prezzo che ha pagato è stato di prendersi Ciacci come capo dei vigili con uno stipendio che da 50mila euro all’anno è passato a150mila.
Insomma, siamo davanti a uno strapotere senza limiti?
Il problema è che si possono aprire tutte le inchieste che si vuole, pensiamo al magistrato che ha ricevuto “un prestito” da un avvocato che agisce nel suo stesso distretto. Adesso pensano di risolvere la cosa buttandolo a mare per cene scroccate. Sui comuni mortali si fanno accertamenti per molto meno rischiando anche la galera, qui invece tace il Csm, tace l’ordine degli avvocati, tace la procura di Brescia che dovrebbe aprire d’ufficio una inchiesta.
(Paolo Vites)
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