Il lungo periodo pandemico che ci ha colpito due “fiate”, come direbbe il Sommo Poeta, ha toccato tutti i cittadini, quasi tutti i settori economici, come sappiamo, e in modo particolare anche la scuola, milioni di bambini e giovani, il seme del nostro futuro e del futuro del nostro Paese, e milioni di genitori ai quali spesso la chiusura del servizio scolastico ha impedito la possibilità di lavorare.
Da qualche mese si è aperto un grande dibattito sui media più importanti e sulle riviste specializzate, non solo su come affrontare i problemi legati alla chiusura di questo anno scolastico, ma soprattutto su come “aggiustare” i danni per recuperare il tempo perso e i livelli di apprendimento in modo particolare nei territori in cui, per la scarsità di strumenti e carenza di possibilità di connessione, non si sono tenute neanche le lezioni a distanza.
Il mio contributo vuole lanciare un monito alla consapevolezza. Papa Francesco nelle settimane scorse ci ha mandato un grande messaggio incrociato ad un avvertimento educativo: dopo questa pandemia “nulla sarà come prima” e “potremo diventare migliori o peggiori”, dipenderà da ognuno di noi. Una grande sfida dalla quale non potrà esimersi la scuola.
Sulla strada da percorrere per raggiungere l’obiettivo vi sono ostacoli consistenti: il tempo, le risorse, le norme, la burocrazia.
Se è vero che affinché nel post pandemia si possa avere una scuola migliore occorrerà ripensare il Sistema nel suo complesso, partendo da quello che l’emergenza ha fatto emergere come la sua missione educativa, la capacità di autonomia delle scuole, il “fare squadra” con le famiglie, l’acquisizione di nuove tecniche di insegnamento e metodologie, digitale compreso.
È vero che per avere dopo la pandemia una scuola migliore occorrerà ripensare il sistema nel suo complesso, partendo da quello che l’emergenza ha fatto emergere come la sua missione educativa, la capacità di autonomia delle scuole, il “fare squadra” con le famiglie, l’acquisizione di nuove tecniche di insegnamento e metodologie, digitale compreso; ma le case si costruiscono dalle fondamenta e in questo caso le fondamenta sono l’avvio regolare del prossimo anno scolastico.
Qui si affaccia il primo grande ostacolo: il tempo. Ricordo sommessamente e con preoccupazione che mancano solo quattro mesi al primo suono della campanella che darà inizio all’anno scolastico 2021/2022. Il presidente Draghi, nel suo discorso di insediamento, è intervenuto affermando che “a settembre tutte le cattedre siano assegnate”, che la didattica a distanza, “pur garantendo la continuità di servizio”, “evidenzia disuguaglianze”, che occorre “recuperare le ore di didattica in presenza perse lo scorso anno, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno in cui la didattica a distanza ha incontrato maggiori difficoltà”, e ha riscosso un apprezzamento generale, cui mi associo con fiducia; ma occorre anche rammentare le importantissime parole con cui ha iniziato: “lavorare da subito”.
La politica e la burocrazia ci hanno abituato a tempi biblici; basti pensare, di recente, all’indispensabile stabilizzazione dei precari su cui si basa il principio “tutte le cattedre assegnate”. Il nuovo avvio dell’operazione concorsi speciali, utili alla stabilizzazione, data dal ministro Bussetti nel 2018/19, ad oggi non è ancora conclusa. Oppure alla recentissima decisione di riapertura delle scuole in presenza, auspicata da tutti, studenti e famiglie per prime, che si scontra con la realtà di una mancata preparazione tanto che le Regioni, come abbiamo letto, l’hanno giudicata “impraticabile per la capienza dei mezzi pubblici ridotta e per i limiti strutturali degli edifici scolastici”; così come il presidente di Anp ricorda che nell’attuale situazione molte scuole non potranno far rientrare gli studenti al 100 per cento perché impossibilitati per le dimensioni delle aule: non sarebbe possibile rispettare il distanziamento.
Da qui la necessità di iniziare a “lavorare da subito”, con mentalità aziendale, elencando i problemi da affrontare perché il prossimo anno scolastico possa cominciare regolarmente. Per questo sicuramente il ministro Bianchi potrà essere di grande aiuto, visto il ruolo avuto di coordinatore del tavolo dedicato allo studio per la ripartenza della scuola e l’importante documento prodotto, “Idee e proposte per una scuola che guarda al futuro”.
Sarà necessario deliberare nell’immediato gli interventi necessari avendo il coraggio di dare vita anche a norme “speciali” che permettano di superare i vincoli normativi e burocratici.
Un esempio può essere la regolarizzazione professionale dei docenti. Si parla, di nuovo, in questi giorni di lauree abilitanti per le professioni: ottima iniziativa che mi auguro preveda anche la professione docente. Un buon investimento per il futuro, ma noi dobbiamo risolvere il problema adesso. In questo caso una norma straordinaria che, secondo le indicazioni europee, consideri abilitati coloro che sono in possesso di laurea magistrale e dei 24 Cfu agevolerebbe di molto l’obiettivo dei tutti in cattedra a settembre, anche per le scuole paritarie.
Non vado oltre poiché ogni aspetto successivo meriterebbe un approfondimento sostanzioso con un articolo mirato. Concludo riaffermando la necessità di fare memoria di quanto accaduto in questo difficile periodo, nella convinzione che niente sarà come prima e avviando un ripensamento della scuola che parta dal consolidare le buone esperienze attivate da molte scuole.
Fortunatamente le risorse non mancheranno, visto quanto sarà messo a disposizione dal Recovery Plan (circa 34 miliardi). Ma il ripensamento della scuola dovrà tener conto anche di un serio rilancio e completamento dell’autonomia che le scuole hanno esercitato di fatto per poter sopravvivere, riuscendoci, e della necessità di rapidi interventi strutturali nelle scuole e nei territori, legati alla sicurezza e al digitale per eliminare le disuguaglianze; una situazione inaccettabile in un Paese democratico e moderno, come deve essere il nostro.
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