Crisi della giustizia non significa per forza crisi dei magistrati ma – per l’ex Presidente della Corte Costituzionale Sabino Cassese – il vero nodo ancora da risolvere è il sistema di “governance” dei giudici: su quello serve intervenire e la speranza è che i piani sulla giustizia del PNRR possano dare una “sferzata” all’intero settore. In una lunga intervista al Riformista, Cassese valuta positivamente l’opera di tanti magistrati “silenziosi” che in Italia ogni giorno conducono la doppia lotta di combattere gli illeciti e difendere la Costituzione.
Di contro, gli scandali tra Csm e Procure rappresentano il peggio possibile per l’intera categoria, «C’è quindi una crisi morale della giustizia, un preoccupante aumento di magistrati coinvolti in indagini penali, e in qualche caso arrestati […] Una volta il magistrato era la difesa dei cittadini, ora i cittadini han no l’impressione di doversi difendere dai magistrati». I motivi della crisi sono diversi per Cassese, ma ve n’è uno più “dirimente” di altri: «l’incapacità del corpo dei magistrati di modernizzarsi, di individuare sistemi di correzione e autocorrezione interni. I magistrati sono interessati al codice e alle leggi, non al funzionamento complessivo della giustizia».
LA CRISI DELLA GIUSTIZIA (E DOVE INTERVENIRE)
Uno dei “consigli” ribaditi nel tempo da Sabino Cassese riguarda la “cacciata” delle toghe (in larga parte) dal Ministero della Giustizia: «Questa dilatazione delle funzioni della magistratura comincia altrove, con l’occupazione del Ministero della giustizia. Questo ministero, l’unico citato dalla Costituzione, si deve interessare del funzionamento della giustizia. È un apparato del potere esecutivo. I magistrati, parte essenziale del potere giudiziario, non dovrebbero farne parte». Dal Ministero alle Procure, il passo di critica è breve per il Presidente emerito della Consulta: «le procure non sono più in funzione dell’accusa, ma in funzione di un giudizio. Avviano l’accusa e danno il giudizio, tramite quello strumento che gli americani chiamano “naming and shaming”, tenendo sotto la minaccia di indagini per anni persone, divulgando le informazioni, mantenendo stretti rapporti con i giornalisti. […] I giornali diventano i megafoni delle procure e diffondono quest’idea alla Robin Hood del magistrato-giustiziere». Capitolo finale, dopo il caso Palamara soprattutto, il Consiglio Superiore di Magistratura: conclude Cassese al Riformista, «concepito come organo di autogoverno, è diventato la brutta copia del Parlamento […] È stato incapace di individuare i criteri di scelta dei magistrati, specialmente dei titolari degli organi direttivi e quindi non ha svolto la funzione positiva che doveva svolgere. Che sia un organo fallito mi pare a questo punto sotto gli occhi di tutti».