Coprifuoco alle 22 o alle 23? Il dilemma ha scatenato discussioni e ha diviso le forze politiche. Da una parte, Lega, Forza Italia e Italia viva, favorevoli come FdI a ritoccare all’insù il limite; dall’altra Pd, Leu e una parte dei Cinquestelle propensi a mantenerlo. Alla fine la maggioranza che sostiene Draghi ha deciso di impegnare il governo “a valutare nel mese di maggio, sulla base dell’andamento del quadro epidemiologico oltre che dell’avanzamento della campagna vaccinale, l’aggiornamento delle decisioni prese” con l’ultimo decreto legge Covid sulle aperture, “anche rivedendo i limiti temporali di lavoro e spostamento”, appunto l’orario del coprifuoco.
Insomma, a metà maggio ci sarà un “tagliando”, in base a come risponderanno le curve epidemiologiche. Ma fa davvero la differenza un’ora in più o in meno? Allungando il coprifuoco si rischia, come dice qualcuno, che si scateni una quarta ondata? E il governo ha riaperto troppo presto? Lo abbiamo chiesto a Girolamo Sirchia, ex ministro della Salute.
Coprifuoco alle 22 o alle 23. Che ne pensa di questo dilemma?
Non mi sembra che un’ora in più o meno possa così influire sull’evoluzione della pandemia e penso che i ristoranti non creino grandi problemi. Un ristorante può rimanere aperto anche fino a mezzanotte, purché i clienti, all’aperto, non siano assiepati.
Dove sta allora il nodo?
Sono due gli ambiti di maggior rischio di contagio: la scuola, nel senso di tutto quello che succede prima e dopo le lezioni, trasporti compresi, con gli studenti delle superiori, e la movida, cioè i locali e i bar dove la gente si assiepa, spesso senza rispettare il distanziamento e senza indossare le mascherine.
Quindi?
Il discorso non va concentrato sulle ore di apertura dei ristoranti, ma sul tipo di locali. La domanda vera è: questa apertura rischia di creare assembramenti inopportuni e rischiosi?
Come evitarlo?
Se un locale è nelle aree della movida, bisognerebbe responsabilizzare il gestore, attraverso una telecamera, affinché non vengano consentiti gli assembramenti.
Il coprifuoco è una misura che penalizza troppo i ristoratori?
Ripeto: se si rispettano le regole, con distanze, spazio all’aperto e numero massimo di clienti, il ristorante non è un locale pericoloso.
Ha fatto bene Draghi a scommettere su questo “rischio ragionato”?
Il rischio ragionato è appunto un rischio. Se la movida continua e le scuole superiori restano aperte, con tutto quello che abbiamo detto prima, sappiamo che andiamo incontro a un rischio molto probabile di ripresa dei contagi. Lo dice la letteratura scientifica. Io non avrei aperto così.
Che cosa avrebbe fatto?
Avrei lasciato aperto i ristoranti e i bar che a proprie spese avrebbero garantito il controllo con telecamere della zona antistante il locale, mentre avrei lasciato chiusi i locali della movida.
C’è chi dice che abbiamo riaperto troppo presto, che era meglio rinviare al 12 maggio.
Io penso che abbiamo riaperto male.
Perché?
Per salvarci dai rischi di cui parlavo prima o vacciniamo tantissime persone, impedendo così al virus di diffondersi e di fare danni, oppure chiudiamo i locali che sono la sorgente dell’infezione: le scuole superiori e le movide.
Sulle scuole arrivano notizie confortanti dalla Gran Bretagna: grazie alla massiccia campagna vaccinale, secondo quanto riporta il Telegraph, a fronte della riapertura di scuole e negozi, negli ultimi sette giorni i contagi sono scesi del 7%, così come i decessi, diminuiti del 26%, e i ricoveri negli ospedali, in calo del 19%. Che cosa ci suggeriscono questi numeri?
Che più vacciniamo, meglio è: si abbassa enormemente il rischio, anche sui mezzi di trasporto.
Sulla movida si potrebbero consentire aperture contingentate?
Ma chi vigila sul contingentamento? Quanto è realistico se non ci sono i controlli?
Avendo deciso per le riaperture graduali, sarebbe il caso di riprendere anche il controllo del tracciamento?
Il tracciamento è possibile solo quando i casi sono pochi. Ma con i numeri di oggi è praticamente impossibile.
Rischiamo di compromettere la stagione turistica?
No, se le vaccinazioni continuano per altri due mesi almeno a questo ritmo.
Guardando agli indicatori dell’epidemia, come valuta oggi la situazione, visto che l’indice Rt è sotto 1 e i ricoveri calano?
È in miglioramento e sono proprio i due parametri dei ricoveri Covid generali e in terapia intensiva a confermarlo. I decessi sono retaggio di situazioni passate e gli altri sono indicatori che hanno i loro limiti.
Con le riaperture rischiamo una quarta ondata?
Se non vacciniamo, sì.
Potrebbe essere utile allora introdurre il criterio che dove si è vaccinato di più si riapre di più?
Bisogna arrivare a vaccinare almeno il 40-50% della popolazione, il doppio della soglia attuale, per poterci concedere con maggior serenità qualcosa in più, perché il virus nel vaccino trova un contrasto importante.
La campagna vaccinale, da questo punto di vista, promette bene?
Siamo in ritardo di tre mesi, ma rispetto al governo precedente c’è un cambio di passo, soprattutto sulle vaccinazioni. Da quando c’è il generale Figliuolo la macchina è ripartita bene e sembra che adesso arrivino anche le dosi.
Arriveremo all’immunità di gregge?
Sì, se vacciniamo almeno il 50% della popolazione, perché a questa percentuale vanno aggiunti tutti coloro che sono venuti già a contatto con il virus e hanno sviluppato anticorpi. Si arriverebbe a due terzi delle persone immunizzati, il che porterebbe a spegnere l’infezione.
A Barcellona hanno condotto un esperimento: 4.500 giovani sono stati ammessi a un concerto, prima di entrare tutti sottoposti a test antigenico e poi hanno assistito allo spettacolo indossando tutti le mascherine. Risultato: solo due positivi. Si può pensare a un simile modello per riaprire certe attività di massa all’aperto?
Non tutti i test antigenici sono affidabili. Se sono affidabili, potrebbe anche andar bene, ma chi provvede a questi test? Un conto è un esperimento, un conto è il mondo reale.
(Marco Biscella)
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