Nell’indagine Istat relativa al mese di marzo 2021 si registra una leggera ripresa del numero degli occupati rispetto al mese precedente (+34 mila) e una significativa contrazione della perdita di posti di lavoro rispetto al marzo 2020 (-565 mila rispetto ai -945 mila segnalati nel bollettino pubblicato per il mese di febbraio u.s.).
La lettura dei dati Istat viene messa a dura prova per una serie di ragioni: le origini extra economiche della crisi, che stravolgono le condizioni ordinarie delle attività produttive e la stessa possibilità di ricercare attivamente il lavoro, l’effetto di contenimento della disoccupazione generato con il blocco dei licenziamenti e con l’utilizzo parallelo delle casse integrazioni, e l’effetto del cambiamento intervenuto nelle metodologie di rilevazione da parte dell’Istat a partire dal mese di febbraio. Questo cambiamento esclude nel calcolo degli occupati il numero dei lavoratori dipendenti in cassa integrazione a zero ore da più di tre mesi e dei lavoratori autonomi che non esercitano una concreta attività per un periodo analogo. Due novità che avevano generato un incremento delle perdite pari a circa 300mila posti di lavoro.
Fatte queste premesse, la rilevazione del mese di marzo 2021 si rivela importante perché consente di fare un bilancio degli effetti occupazionali dei provvedimenti di distanziamento adottati dai governi in carica per contrastare la pandemia nel corso dei 12 mesi. La perdita dei 565 mila posti ha investito pressoché tutte le componenti del mercato del lavoro per età, genere, territorio e condizione professionale, con una particolare accentuazione per le donne (-335 mila) e per i lavoratori autonomi (-212mila), che hanno registrato un andamento negativo largamente eccedente la specifica incidenza nel mercato del lavoro. Le motivazioni sono essenzialmente legate alla rilevanza dell’impatto della crisi nei comparti dei servizi, che registrano una maggiore partecipazione femminile, e alle mancate aperture delle nuove partite Iva in presenza di una rilevante riduzione dei consumi e della domanda di prestazioni. Il cambiamento delle metodologie di rilevazione dell’istat ha ridimensionato il peso della riduzione delle mancate assunzioni dei lavoratori dipendenti con contratti a termine (-103 mila) rispetto a quelli a tempo indeterminato (-250 mila). Questi ultimi in buona parte beneficiari delle casse integrazioni e formalmente ancora occupati nelle imprese.
Le prospettive di una ripresa graduale delle attività hanno incentivato nel mese in considerazione un consistente aumento delle persone in cerca di lavoro (+35,4%, pari a 615 mila rispetto al marzo 2020) e una riduzione di 306 mila del numero di quelle inattive. In valori assoluti, la perdita sostanziale di posti di lavoro si mantiene intorno al milione (-2,5%) rispetto al picco registrato nel 2019.
Il recupero di queste perdite, nelle previsioni aggiornate da parte del Governo in carica, viene traguardato al primo semestre del 2023. A sostegno di queste previsioni gioca l’effetto di rimbalzo per il Pil nel secondo semestre dell’anno in corso, atteso in relazione al successo della campagna delle vaccinazioni e alla ripresa dei consumi favorita anche dalla crescita dei risparmi delle famiglie realizzata nel corso del 2020. La rilevazione effettuata ieri dall’Istat sull’andamento del Pil in parallelo con quella dell’occupazione (-0,4% rispetto al trimestre precedente, ma con due giornate lavorative in meno) tende a confermare una stabilizzazione delle perdite del prodotto interno, con alcuni comparti dell’agricoltura e della manifattura che hanno già recuperato i livelli precedenti di attività e la ragionevole possibilità di una risalita per i settori del turismo, della ristorazione e delle attività dei servizi rivolti alle persone maggiormente colpite dagli effetti delle misure di distanziamento adottate.
L’effetto di trascinamento positivo sull’occupazione è atteso nel breve periodo, in particolare sui contratti a termine e stagionali. Nel medio termine questi effetti possono avere un impatto, anche qualitativo, su fabbisogno di profili professionali e di competenze più evolute, relazionati ai nuovi investimenti e alle riorganizzazioni del lavoro attese. O, quanto meno, per la necessità di reperire risorse lavorative coerenti con le caratteristiche del lavoro richiesto.
Questo secondo versante interroga la capacità di rimediare alle carenze strutturali del nostro mercato del lavoro per le competenze professionali richieste e per la disponibilità a svolgere determinate mansioni. Una problematica estremamente seria, dato che la ripresa delle attività agricole, e l’attesa crescita del settore delle costruzioni nelle infrastrutture e nell’edilizia residenziale, non riscontrano allo stato attuale un’adeguata disponibilità di forza lavoro.
L’obiettivo di come rendere la mobilità del lavoro più sostenibile, unitamente a quello della capacità di far incontrare la domanda e l’offerta offerta di lavoro, richiede una complessa convergenza di interventi, di attori e di strumenti, e di comportamenti adeguati delle persone, che nell’armamentario delle riforme annunciate dal ministro del Lavoro, essenzialmente rivolte a estendere i sussidi al reddito e gli incentivi, non vengono presi seriamente considerazione.
Sul fronte del lavoro e dell’occupazione, il salto di qualità auspicato dal presidente del Consiglio Draghi è ben lungi dall’essere concretizzato.
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