Valerio Scanu, ospite della trasmissione di La7, Piazzapulita, è tornato a parlare di una vicenda molto dolorosa che lo ha visto protagonista in prima persona, in seguito alla morte del padre a causa del Covid. “Mi sono trovato insieme alla mia famiglia catapultato in una situazione estremamente tragica”, ha esordito il giovane cantante sardo. “Quello che abbiamo vissuto a casa è inspiegabile”, ha aggiunto, svelando di aver perso suo padre il 23 dicembre scorso. Il papà di Valerio Scanu aveva 64 anni “super attivo”, da circa un anno in pensione anche se continuava a svolgere il lavoro di muratore perché “non stava mai fermo”. Ma soprattutto “senza alcun tipo di patologia”. Valerio ha spiegato che nonostante il Coronavirus sia una malattia che porta scompensi multiorgano, i parametri del padre erano tutti a posto, tranne la situazione di un polmone “estremamente infetto, massacrato, e ce lo ha portato via”.
In merito alla sua impressione relativamente al funzionamento del sistema sanitario con cui Scanu ha avuto a che fare da vicino, il cantante ha commentato: “Ci sono persone che possono curarsi a casa, certo è che bisogna sempre controllare la saturazione. Le cure a casa per mio padre non sono bastate”.
VALERIO SCANU, LA TESTIMONIANZA SUL PADRE MORTO DI COVID
Il padre di Valerio Scanu ha iniziato ad avere una forte febbre “su e giù”. Da qui la decisione di sottoporsi ad un tampone. Aveva prenotato il tampone al drive-in ma quella mattina aveva la febbre, quindi chiamò per annullare ma, ha spiegato il cantante, “sono andati a casa, lui aveva la saturazione a 84 ed è andato subito in un primo ospedale non Covid, poi in un secondo ospedale ancora non Covid e dopo 5 giorni è stato trasferito in un ospedale dove c’era anche la terapia intensiva, specifico Covid”. Qui, ha raccontato l’ex vincitore del Festival di Sanremo, non è stato trasferito perchè le sue condizioni si erano aggravate ma perchè “quella era la prassi”. L’uomo è entrato in sub intensiva poi è stato sottoposto ad una tac di ingresso che ha svelato la presenza di una polmonite bilaterale interstiziale, da qui il trasferimento in terapia intensiva. Il secondo giorno nel reparto Covid, ha spiegato Scanu, “mi è stato proposto l’utilizzo di un anticorpo monoclonale e io non sapevo cosa fosse. Mi sono confrontato con mia madre ed il medico di mio padre e abbiamo detto subito di sì”. Nel frattempo però questo anticorpo monoclonale non arrivava dal momento che vi era tutto un iter particolare da seguire. “La situazione si è aggravata”, ha aggiunto Valerio.
L’USO DEGLI ANTICORPI MONOCLONALI E LA MORTE
Dopo alcuni giorni di attesa in vista dell’arrivo dell’anticorpo monoclonale, Valerio Scanu ha ricevuto una telefonata dall’ospedale in cui gli veniva detto che il padre aveva fatto “un po’ di capricci” togliendosi la mascherina e saturava a 44. “E’ successo che lui non a me ma ad altri amici aveva mandato un messaggio ancor prima dell’arrivo in terapia intensiva, quando ancora riusciva a messaggiare, dicendo che si sentiva come se avesse un frantoio nel petto, non riusciva a respirare”, ha spiegato. Il monoclonale, invece, è arrivato dopo che il padre era stato intubato e dopo una serie di lungaggini. Alla fine gli è stato dato e sembrava stesse dando anche una risposta positiva anche se con piccoli miglioramenti. “Mio padre è stato in terapia intensiva dal 30 novembre al 23 dicembre, giorno in cui è andato via”, ha chiosato. La morte del genitore è arrivata due giorni prima di Natale e, come ha ricordato Valerio Scanu, anche quella è stata una ricorrenza per la sua intera famiglia “atroce” proprio per via dell’incredibile lutto.