Dice un vecchio adagio che “fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Dev’essere quello che è venuto in mente a Enrico Letta, quando si è reso conto che l’alleanza con il Movimento 5 Stelle è tutt’altro che facile da realizzare sul piano locale. Dal Nazareno è partito qualche giorno fa l’appello per il “piano B”: insieme nei comuni, ma al ballottaggio. Così al primo turno ciascuno può tenere alta la bandiera della propria identità.
Sembra, però, che neppure questo sia bastato. La pietra d’inciampo dei piani lettiani si chiama Virginia Raggi, sindaca contestatissima della Capitale, che di fare quel passo indietro che spianerebbe la strada all’abbraccio giallorosso non ne vuol proprio sentir parlare. La prima cittadina romana si è ricandidata, forte di sondaggi che le attribuiscono uno zoccolo duro di consensi tale da rendere non irreale immaginarla al secondo turno, vista anche la lite da pollaio in corso nell’area democratica fra candidati annunciati e possibili, Calenda, Gualtieri, Zingaretti, e chi più ne ha, più ne metta. L’incubo per lo stato maggiore dem è che il proprio portabandiera possa arrivare terzo.
E che sette anni di insulti reciproci (i cinque di Raggi e i due di Marino) abbiano lasciato ferite profonde è testimoniato dai tanti militanti di rango che sui social hanno fatto sollecitamente sapere al segretario che non hanno alcuna intenzione di votare Raggi, se dovesse andare al ballottaggio con il portabandiera del centrodestra.
Sino a che non si sblocca la partita di Roma, neppure quella di Napoli può chiudersi. Partita cruciale, visto che nelle speranze di molti maggiorenti dem la candidatura del presidente della camera Fico sotto il Vesuvio sarebbe stata la quadratura del cerchio, a patto di spianare la strada a candidature dem condivise a Roma e Torino. Visto che Raggi insiste, con l’appoggio di Grillo e dell’ala che si riconosce in Di Battista, tutto questo castello di ipotesi crolla, e diventa complicata persino l’ipotesi di convergenza al secondo turno.
Il caso Fedez, in quest’ottica, sembra un’utile cortina fumogena per i giallorossi, che maschera difficoltà ben maggiori, dal Csm da riformare alle alleanze da costruire, con Conte in evidente difficoltà, titubante nel prendere la guida del M5s, anche per il groviglio di contenziosi giudiziari in cui il Movimento è invischiato, in primo luogo quello con l’associazione Rousseau di Davide Casaleggio. Conte, insomma, non ha oggi il controllo del Movimento.
Ma se le elezioni amministrative si riveleranno un ostacolo troppo alto per la saldatura dell’asse fra Pd e M5s, tutte le strategie future di Letta finiranno nel limbo dell’incertezza. La collaborazione che ha portato al sostegno del governo Conte 2 ha assoluto bisogno di uscire dal Palazzo e di trasferirsi nelle amministrazioni locali, senza che gli elettorati continuino a guardarsi in cagnesco. Altrimenti diverrà difficile anche alle elezioni politiche che, con molte probabilità, si terranno con l’attuale legge elettorale, che spinge alle coalizioni. Convergenze in grado di modificare il Rosatellum, infatti, all’orizzonte non si vedono.
Ma le amministrative di ottobre costituiranno un delicato banco di prova anche per il centrodestra, non meno in difficoltà sulle candidature. Salvini ha avanzato i nomi di Albertini per Milano e di Bertolaso per Roma. Forza Italia non può che essere d’accordo su nomi molto vicini. I due partiti sembrano aver imparato la lezione che nelle città sono più efficaci nomi espressione della società civile con ampio apprezzamento, che esponenti di partito. I sondaggi lo confermano, e anche il magistrato Catello Maresca a Napoli va in questa direzione. La via, che sembra in discesa, è ostacolata però dalle riserve della Meloni, che tiene sulla corda gli alleati dentro e fuori le aule parlamentari. La leader di Fratelli d’Italia insiste su nomi di apparato, come quello del cognato Francesco Lollobrigida per il Campidoglio, ignorando che la formula ha funzionato in competizioni relativamente limitate (Acquaroli alla Regione Marche e Marsilio in Abruzzo), ma ha fallito le grandi occasioni (Fitto in Puglia e la stessa Meloni cinque anni fa a Roma). La sua insistenza rischia di diventare un problema. Se le cose dovessero andare male, ne porterebbe la responsabilità, e i già pessimi rapporti nell’area moderata sarebbero destinati a peggiorare.
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