L’onestà intellettuale vorrebbe che, prima di giudicare quel che Fedez ha gridato dal Palco-Rai dell’Auditorium della Musica il 1° maggio, tutti coloro che hanno voglia di intervenire nel dibattito pubblico su questo tema avessero letto per intero il testo del ddl Zan. Cosa che ancora oggi non ha fatto molta della gente che pure difende il ddl Zan a spada tratta; gente che oggettivamente non sa cosa dice e cosa non dice il testo di legge che deve ancora iniziare il suo iter in Senato.
L’intervento di Fedez è apparso a tutti, e l’eco mediatico di oggi lo conferma, più come un comizio politico che non come il canto libero di un artista che il 1° maggio vuole inneggiare a quello straordinario diritto al lavoro su cui è costruito l’articolo 1 della nostra Costituzione e che in tempo di pandemia ha sofferto e fatto soffrire la nostra società come di un cancro invasivo e metastatico.
Il ddl Zan capovolge i termini della discriminazione
Il ddlZan colpisce ancora e colpisce esattamente in quei punti nevralgici che sono stati più volte denunziati non solo da una Lega accusata a più riprese di accanimento omofobico, ma anche da esponenti della sinistra femminista, della stessa comunità Lgbtq+. Ma anche e soprattutto dalla Cei: la Conferenza episcopale italiana, che facendo sue le istanze di Papa Francesco, non può certo essere accusata di nessuna particolare simpatia nei confronti della Lega e tanto meno di Salvini. Per la presidenza Cei la legge attualmente in discussione al Senato si presta a molte ambiguità interpretative, che possono indurre ulteriori forme di discriminazione e di intolleranza. Non c’è dubbio che si tratti di una legge fortemente divisiva, perché mentre potrebbe ottenere un consenso generale sul reiterato No alla violenza di qualsiasi genere e contro chiunque, senza inutili classificazioni che tanto sanno di ghettizzazione, dall’altro cede al rischio di voler ignorare differenze evidenti di per sé, come sono le differenze sessuali, e scivola in un campo in cui altri concetti come identità sessuale, orientamento sessuale, ecc. sono assai più difficili da identificare e restano ancorati ai confini di una soggettività di cui quel “+” che accompagna la già ampia classificazione Lgbtq è una spia interessante, perché dischiude spazi senza confini e senza limiti.
Ed è proprio questa indeterminatezza che rende accuse e minacce, con relative punizioni e sanzioni, particolarmente difficili da scansare, davanti all’ideologia che nega ciò che appare come oggettivo e esalta ciò che di fatto ricade nella massima soggettività. Il ddl Zan capovolge il ruolo dei violenti e pone i dissidenti rispetto all’ideologia fondativa della norma in una posizione di assoluta precarietà. Quella violenza che si vuole evitare ricade inesorabilmente su chi non può neppure esprimere una blanda diversità di opinioni.
Processo in tv e sui social a tutti coloro che non sono d’accordo
E la vicenda Fedez, con la strumentalizzazione del concertone del 1° maggio, festa classicamente a tutela dei diritti dei lavoratori, ne è una plateale dimostrazione. Per chi solleva dubbi e perplessità sul ddl Zan il rischio concreto, sperimentato proprio il 1° maggio, è quello della denuncia e del processo mediatico. Non del dibattito in Parlamento con l’esame degli articoli, la presentazione degli emendamenti e quindi il voto, com’è naturale in ogni legge. No, dibattito e processo si fanno in diretta tv con tutto il Pd e il M5s schierati a favore del ddl Zan, senza neppure i più elementari distinguo. “Ddl Zan e Rai? Se oggi si discute di questa legge è perché qualcuno nel Pd ha presentato questa proposta. Vogliamo che diventi legge dello Stato”. Lo ha detto Simona Bonafè, eurodeputata Pd e vice capogruppo vicario del gruppo Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, intervenendo sulla polemica scoppiata dopo l’intervento di Fedez al concertone e la denuncia del tentativo di censura da parte dei dirigenti del servizio pubblico.
Noi siamo contro la censura. Ogni forma di censura. Difendiamo la libertà d’opinione, anche quando certe opinioni non le condividiamo. Ma accettiamo il dibattito, soprattutto quando è espresso in forme ragionate e competenti, in ambiti appropriati e pertinenti. Ma questa volta l’assist della Rai a Zan, al netto delle pseudo-polemiche sulla censura, è stato così netto e privo di contraddittorio che non ci si può che stupire della parzialità con cui la tv di Stato si è schierata a favore di un tema sensibile, che è ancora agli inizi del dibattito in Senato. Perché sia ben chiaro, e sono moltissimi gli italiani che hanno colto perfettamente il messaggio, la colpa, se di colpa della Rai si può parlare, non è certo nella presunta telefonata a Fedez di una dirigente che si limitava a ricordare la policy dell’azienda, posto che ce ne sia una!
La Rai aveva capito o faceva finta di non aver capito?
La Rai sapeva perfettamente cosa Fedez avrebbe detto e con quale risvolto mediatico, ma anche con quale carica di pressione sull’opinione pubblica si sarebbero levati i cori a favore della legge Zan. L’intervento di Fedez è stato come un ulteriore pressing sull’opinione pubblica per obbligare il Parlamento in genere, e il Senato in concreto, ad approvare alla svelta e senza ulteriori ritardi una legge che invece richiede profonde modifiche. Che la Rai persegua da tempo una linea sommamente inclusiva nei confronti di questo tipo di tematiche sensibili è facilmente riscontrabile dai palinsesti, dalle testimonianze che caratterizzano una narrazione in cui la sessualità è raccontata come un’attività lasciata alla libera scelta di ognuno, senza vincoli di alcun tipo. Ma questa volta la tv, con l’invito a Fedez, lungi dal cadere in una pseudo-censura, cosa che non fa mai su temi analoghi, ha permesso una vera e propria operazione di condizionamento del Parlamento su di una legge ben precisa. Il dibattito non è ancora entrato nel vivo in Commissione giustizia, anche perché l’intero Senato è pressato da decreti e Dpcm che provengono direttamente dal Governo e debbono misurarsi di giorno in giorno con gli effetti della pandemia sulla salute e sull’economia.
Ma tutti i senatori sanno bene cosa accadrà a chi tenterà di dissentire. Sanno in anticipo come il più popolare dei linguaggi del momento, la musica, li esporrà a processo sui social media. L’avvertimento è partito chiaro e forte: guai a chi non si adegua al nuovo pensiero unico sull’argomento.
Le nuove piazze mediatiche da cui fare politica
Dopo Grillo, ora Fedez; la tv del cosiddetto intrattenimento è diventata la piazza mediatica da cui si fa politica, si creano i nuovi partiti e si ristabiliscono gli equilibri di potere. Si condiziona il modo di pensare e si rovesciano le leggi della biologia, perché non c’è dubbio che sostenere che ogni bambino ha bisogno di mamma e papà per essere concepito e certamente gli conviene avere una mamma e un papà anche per formarsi l’identità sessuale di cui tanto si parla. Ma chissà se il solo dirlo o forse anche il solo pensarlo non diventi sintomo di omofobia e quindi sia punibile con le aggravanti previste dal ddl Zan. I senatori sono avvisati: lo tengano ben in conto quando interverranno nel dibattito.
Non a caso davanti all’impatto mediatico del fenomeno Fedez è stata tutta una corsa da parte di molti ad allinearsi con il suo sproloquio, somministrato attraverso un servizio pubblico che meriterebbe maggiore equilibrio e quanto meno un più adeguato bilanciamento delle posizioni. In genere davanti alla propaganda politica, la tv di Stato cerca di agire con maggiore prudenza per evitare di trasformare temi di particolare delicatezza in argomenti di facile propaganda in chiave di declinazione ideologica. Questa volta non è stato così e non c’è stato contraddittorio. Ma la Rai non poteva non immaginare cosa sarebbe successo. Questo proprio non è credibile e alla vigilia del rinnovo delle cariche del Cda anche questo potrebbe rappresentare un’ipotesi di posizionamento politico. Tanto per capire chi sta con chi; chi pensa cosa e come; che futuro avrà il ddl Zan, ma anche la classe politica e l’impatto mediatico in Rai. Ribadire il No assoluto alla violenza contro chiunque, e quindi anche contro le persone che il ddl Zan vorrebbe tutelare, è d’obbligo; ma non vedere quanto questa legge sia intrinsecamente intollerante nei confronti di un pensiero diverso, dovrebbe essere ormai ovvio a tutti. Compresi gli zelanti tutori di una legge di cui confermiamo, con chiarezza e fermezza, che non si sentiva proprio bisogno.
La profezia che si autoavvera
In altri termini il concertone con l’intervento Fedez è apparso come una profezia che si auto-adempie, che si autodetermina e si autorealizza: è una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa. Predizione ed evento sono in un rapporto circolare, secondo il quale la predizione genera l’evento e l’evento verifica la predizione. Vedremo cosa accadrà in Senato. Sulla stampa e sui social nei prossimi giorni. La realtà ci attende con scadenze bravissime, ha solo voluto concederci un “timido” anticipo.
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