L’ultimo, recentissimo caso, è quello di Illycaffè, appena entrata nel club. Ma la lista comprende già molti altri nomi illustri dell’industria alimentare italiana come Danone e Olio Carli, o del mondo della ristorazione come Panino Giusto. E non solo. Nel novero sono infatti comprese anche realtà medio-piccole, che fanno quindi parte della colonna vertebrale del sistema produttivo del nostro Paese: si spazia dal mondo beverage con Wami, all’enologia con Casa Vinicola La Torre, Perlage Winery e Cielo e Terra, passando per la più nutrita schiera di aziende attive nel food, composta da Eurocompany, Damiano, Pasticceria Filippi e Abafoods. Senza dimenticare chi opera a monte della filiera, ovvero nell’ambito degli alimenti per animali con Farmer, e chi è invece attivo più a valle nei servizi di commercializzazione digitali come la piattaforma Local to you.
Sono queste le 14 aziende italiane che operano in campo alimentare a potersi fregiare della certificazione B Corp o B Corporation, rilasciata dalla rete internazionale B Lab, con la quale si attesta l’aderenza delle imprese certificate ai dettami imposti dallo statuto di Società Benefit. Istituito per legge nel 2016, lo statuto prevede un passaggio formale da effettuarsi presso un notaio con il quale la società contraente cambia in maniera sostanziale la propria ragione sociale: mantiene infatti l’obiettivo del profitto per i propri azionisti e resta all’interno dei meccanismi di un’economia di mercato, ma decide di perseguire in maniera misurabile anche precisi obiettivi di beneficio comune, che possono riguardare diversi fronti: il governo d’impresa, le relazioni industriali, il rapporto con le comunità locali, la tutela dell’ambiente, le attività con associazioni di volontariato o della società civile e attività culturali.
Un modello “open source”
“Le B Corp – affermano Eric Ezechieli e Paolo Di Cesare, founder di Nativa, Regenerative Innovation Company e country partner di B Lab per l’Italia – costituiscono un movimento globale di aziende che promuovono il business come forza positiva e si impegnano quotidianamente a generare un impatto positivo sulle persone, la comunità e l’ambiente. Nel settore alimentare questo si traduce nella volontà di ristabilire una connessione tra sistemi naturali, benessere umano e alimentazione, operando in maniera responsabile, trasparente e sostenibile. Le pratiche di sostenibilità delle B Corp, anche nel settore alimentare, sono un modello di riferimento “open source” per molte le altre aziende che condividano l’imperativo di evoluzione verso modelli agro-alimentari che possano creare valore condiviso anche nel lungo termine. In Italia, 14 aziende B Corp del settore hanno scelto di esistere per uno scopo, ovvero quello di creare valore per tutti i portatori di interesse, attraverso il rispetto delle più alte performance ambientali e sociali al mondo. Queste B Corp, come nel caso di Fratelli Carli, Perlage, Cielo e Terra e tante altre, scelgono di avere una relazione profonda con la comunità e i propri fornitori, consapevoli del fatto che la prosperità di un’azienda dipende da quella del territorio di riferimento. Non mancano inoltre marchi globali come quelli di Danone e IllyCaffè, che permettono al consumatore di fare scelte più sostenibili e virtuose, a partire dalla spesa di tutti i giorni”.
Raggiunta quota 1.000
Le B Corp certificate nel settore alimentare rappresentano tuttavia solo una tessera di un mosaico ben più vasto . “La pandemia – sostiene Mauro Del Barba, deputato in forza a Italia Viva, autore della norma che ha dato vita alle Società Benefit, nonché presidente di Assobenefit – ha rappresentato la definitiva consacrazione per le Società Benefit, che peraltro crescevano in maniera costante fin dalla loro istituzione con la Legge di Bilancio del 2016. Oggi abbiamo raggiunto l’importante quota di 1.000 Società Benefit costituite, ma soprattutto copriamo tutti i settori, le aree geografiche e le dimensioni. Dapprima si parlava di storie di impresa soprattutto familiare, ora il fenomeno ha abbracciato le quotate e le grandi società, interessa il mercato dei capitali e può finalmente diventare ciò che Assobenefit si auspica fin dalla sua fondazione: un fattore di competitività per il sistema Paese dell’Italia e l’elemento più importante per la trasformazione del nostro modello di sviluppo economico in un modello sostenibile, a misura d’uomo e d’ambiente. Tutto questo responsabilizzando maggiormente le imprese. Anzi chiamandole a competere non solo per quanto riguarda la creazione di utile, ma anche sul fronte della creazione di beneficio comune. Riusciamo insomma a portare dentro il grande tema della sostenibilità la principale forza che opera nell’umanità, la forza del mercato. La vera sfida è riformare il capitalismo e questo non può avvenire che partendo dalla cellula del mercato, ovvero l’impresa. Le istituzioni da sole non potrebbero raggiungere questo traguardo. Le Società Benefit dunque – soprattutto nel nostro Paese, dove si è sempre mantenuta una cultura umanistica – restituiscono il sogno, la vocazione originaria agli imprenditori. Che in Italia, in particolare, non hanno mai smesso di fare impresa nella prospettiva di realizzare qualcosa di buono per sé e per gli altri. E che oggi hanno la grande opportunità di essere i primi, i leader nel mostrare una via nuova con cui il mercato può riaffermare al propria centralità e nel contempo non essere elemento di creazione di esternalità che poi provocano insostenibilità nel nostro modello di sviluppo”.
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