Un antipertensivo fuori commercio, il guanabenz, potrebbe rallentare la progressione della Sla, la sclerosi laterale amiotrofica. Indicazioni incoraggianti rispetto a questa ipotesi arrivano da uno studio sperimentale di fase II (Promise), pubblicato sulla rivista Brain, coordinato dal Giuseppe Lauria Pinter, direttore del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche della Fondazione Irccs – Istituto Neurologico Besta di Milano. La ricerca, finanziata da AriSLA (Fondazione Italiana di ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica), ha visto coinvolti 201 pazienti, i quali sono stati seguiti per 6 mesi in 24 centri italiani. Come sottolineato dal Corriere della Sera, la fase II di una sperimentazione clinica è quella che serve ad identificare la dose e la posologia ottimale di un farmaco, e prevede il reclutamento di poche centinaia di persone. La base di partenza è la dose stabilita come sicura nella fase I. Durante questo step della ricerca, invece, si effettuano prove a quantità maggiori o minori del farmaco, nel tentativo di stabilire il dosaggio minimo con cui è possibile ottenere una risposta ottimale da parte dell’organismo e allo stesso tempo valutare i tempi di somministrazione.
ANTIPERTENTENSIVO RALLENTA PROGRESSIONE SLA?
Il farmaco antipertensivo oggetto dello studio, il guanabenz, alla posologia di 64 mg e 32 mg al giorno per 6 mesi come trattamento aggiuntivo alla terapia con riluzolo, ha indotto il rallentamento della Sla in particolare nei pazienti con esordio bulbare, rispetto ai pazienti trattati con guanabenz 16 mg o con solo riluzolo. Come sottolineato dal Corriere della Sera, il razionale dello studio poggia sull’osservazione che il farmaco impiegato, oltre agli effetti anti-ipertensivi, aveva mostrato un effetto protettivo sui neuroni in studi in vitro su modelli cellulari e animali di Sla. Lauria Pinter, coordinatore dello studio, ha spiegato: “In particolare, l’efficacia è stata dimostrata soprattutto nei pazienti in cui la malattia si è presentata nella forma definita “bulbare”, nella quale cioè la degenerazione coinvolge i motoneuroni responsabili della contrazione dei muscoli utilizzati per deglutire e parlare“. Lauria Pinter ha aggiunto: “Un aspetto importante di questo studio clinico è che la molecola agisce su un meccanismo patogenetico della Sla, la cui modulazione ha prodotto effetti clinici. Non si tratta ancora di una cura per la Sla, ma è un’informazione importante per proseguire le ricerche in modo concreto, anche grazie all’interesse che l’industria farmaceutica sta già dimostrando“. Ad esprimere la sua soddisfazione anche Mario Melazzini, presidente di AriSla: “Siamo molto contenti di aver contribuito al raggiungimento di questi risultati, che incoraggiano a proseguire con studi più mirati per esplorare l’efficacia di trattamenti farmacologici per i pazienti affetti da Sla. Il nostro impegno è di rimanere al fianco di chi fa ricerca, consapevoli di quanto la ricerca costituisca l’unico strumento concreto per dare risposte alle persone che convivono ogni giorno con la malattia“.