Barry Eichengreen, ora all’Università di Berkeley in California, è da tempo in odore di Nobel per i suoi lavori in materia di finanza pubblica ed economia internazionale, Orsun Saka è un giovane docente di econometria all’Università del Sussex che lavora principalmente sui temi del rischio (è associato al Systemic Risk Center), Cevat Giray Aksoy fa parte della facoltà del King’s College di Londra ed ora è al servizio studi della Banca centrale europea.
Tre voci, quindi, di tutto prestigio. Hanno pubblicato, circa due settimane fa, uno studio ai confini tra la politica economica e la politologia: The Political Scar of Epidemics (Le ferite politiche delle epidemie), per i tipi del CESifo – il centro studi di Monaco di Baviera, che è da anni il più influente think tank economico in Europa (CESifo Working Paper No.9013). Ne raccomando la lettura al ceto politico, italiano e non solo, perché è la prima analisi quantitativa (140 Paesi gli effetti delle cui epidemie sono tracciati dal 1970 a oggi – per quelle precedenti mancano dati statistici affidabili – e un’esauriente rassegna della letteratura) per individuare la probabili “ferite a lungo termine del Covid-19” e, quindi, delineare le politiche economiche per tentare di minimizzarne i danni.
Lo studio si chiede quale eredità politica viene lasciata da crisi sanitarie nazionali come le epidemie. L’analisi dimostra che avere a che fare con un’epidemia e con le politiche per contenerla, negli “anni impressionabili” di un individuo (dai 18 ai 25 anni) ha un persistente effetto negativo sulla fiducia nelle istituzioni politiche e nei leader.
L’effetto è specifico per le “età impressionabili” nei confronti delle istituzioni politiche e dei leader, e non riguarda altre istituzioni e individui con una sola eccezione chiave. Tale eccezione è un forte effetto negativo sulla fiducia nei sistemi sanitari, suggerendo che la perdita di fiducia nelle istituzioni politiche e nei leader è associata all’efficacia delle risposte di un governo alle epidemie passate in materia di servizio sanitario.
Viene documentato questo meccanismo, dimostrando che i governi “deboli” hanno impiegato più tempo per introdurre misure efficaci in risposta all’epidemia di Covid-19 e dimostrando che la perdita di fiducia politica è maggiore per gli individui che hanno sperimentato epidemie sotto governi “deboli”. Infine, lo studio porta dati secondo i quali la perdita di fiducia politica indotta dall’epidemia può scoraggiare la partecipazione elettorale a lungo termine.
Lo studio ha implicazioni importanti sotto il profilo sia internazionale, sia interno. Anche se non tratta specificatamente dell’Italia, fornisce una spiegazione alla perdita dei consensi, prima nei sondaggi e poi in Parlamento, di cui ha sofferto il Governo giallo-rosso sino alla sua caduta. È un monito per coloro che vorrebbero replicarne l’esperienza allargando, ove possibile, la maggioranza a forze centriste ed escludendone altre, indebolendo così la base parlamentare su cui si regge l’Esecutivo. È anche un’indicazione per il Governo Draghi di “grande coalizione di emergenza nazionale”: deve non farsi indebolire o logorare da coloro che aggiungono temi divisivi a un programma che ha, e deve avere, unicamente due punti – lotta alla pandemia, ripresa dell’economia – e su questi far giudicare la sua “forza” in termini di “autorevolezza”, specialmente da coloro oggi in “età impressionabili”. Essi saranno presto “l’elettore mediano” di domani, dalla cui partecipazione o non partecipazione alle urne, e dalla cui scelta, se vota, della forza politica a cui dare il suffragio, dipende l’esito delle prossime tornate elettorali e, quindi, della politica economica del futuro.
Perché è parso importante trattare di un lavoro accademico per molti aspetti altamente tecnico? Non solo perché è uscito in questi giorni – nella piena disattenzione del dibattito italiano sia di politica, sia di politica economica -, ma anche e soprattutto perché l’analisi non riguarda principalmente il breve termine (come affrontare la pandemia), ma il medio e lungo termine: le conseguenze di politica economica di come la si affronta. Se, infatti, una maldestra condotta della politica contro la pandemia (tentennamenti, ritardi, scarsa attenzione alle esigenze della sanità) “ferisce” oggi coloro in “età impressionabile”, le prospettive sono disaffezione nei confronti del ceto politico, astensione dalla partecipazione, e caduta in trappole “populistiche”. Difficoltà, quindi, a formulare e attuare politiche economiche di riforma e ripresa una volta superata la crisi sanitaria.
Su questa testata, si è sottolineato come l’Unione europea, e segnatamente l’Italia, usciranno molto probabilmente fortemente indebolite dalla pandemia. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è poco più di una tachipirina per un malato che necessita una terapia a lungo termine. Tale terapia non ci sarà se il gruppo più ferito, quello ora in “anni impressionabili”, volterà le spalle alle istituzioni politiche o andrà verso derive populistiche, siano esse di destra, di sinistra o senza connotazione
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