Caro direttore,
qua la situazione è sempre più tragica. La mancanza di contanti e l’impossibilità a prelevare stanno costringendo alla fame un popolo che già disponeva solo del minimo vitale. Siamo alla fame. E fame nera!
La situazione sanitaria fa il resto: zero medicine. Si salva solo chi, come in una sorta di misteriosa roulette russa, regge. Per ora la variante indiana, visto il nostro isolamento, non è arrivata ma in ogni caso arriverà… confiniamo con l’India! Ma il solo Covid “normale” già fa stragi: ora non c’è più neanche il paracetamolo.
Si dice che il governo voglia imporre la riapertura delle scuole elementari: i bambini che non si presenteranno saranno esclusi dal resto del ciclo scolastico. Se così fosse, imporrebbe che – a quanti erano scappati dalle città per andare dai parenti nelle campagne, per avere almeno di che mangiare – siano costretti a rientrare a capo chino in città. Come potranno mangiare? Con che soldi comprare il cibo? Siamo alla fine del dramma.
Non si tratta di un cambio di governo come siete abituati in occidente. Non si tratta di un cambio della guardia tra centro destra e/o centro sinistra. Questa è la fine di tutto. E’ la fine.
Con quale spirito la gente andrà a lavorare o gestirà la sua intrapresa? Con quali occhi guarderà i figli? Come farà ad insegnare a loro cos’è la dignità, la libertà, il rispetto, la verità? Perché certe cose non si insegnano: si trasmettono. Tutte le cose più importanti della vita non si insegnano a parole: si trasmettono con i comportamenti.
L’unico esempio con cui dare speranza è la storia e la vita dei cristiani dei primi secoli. Non c’è condizione che si oppone alla possibilità di vivere la vita in verità. Ma allora come non pensare più recentemente all’esperienza dei cristiani nei paesi comunisti (Polonia, Urss, Cecoslovacchia, ecc. e poi Cina, Vietnam) o islamici (Pakistan, Bangla Desh, Irak, Iran, ecc.) e nazioni africane.
Un dato è certo: siamo il nuovo Tibet.
In tutto questo è ammirevole l’impegno dei sacerdoti e suore cattoliche. Visitano e sostengono le famiglie (ovviamente cattoliche e non) in cui il padre è stato arrestato o è alla macchia. I medici, infermieri, insegnanti, ferrovieri, impiegati, funzionari statali che hanno partecipato alle proteste o scioperato sono stati arrestati o sono ricercati. La solidarietà tra parenti e vicini non regge più. I sacerdoti e suore perciò visitano e portano per quanto possibile una parola di conforto e generi di prima necessità alle mogli e bambini rimasti a casa da soli.
Rischiano la vita. Perché se i militari non hanno rispetto della vita umana, tantomeno dell’abito religioso!
L’episodio di suor Anne rischia di essere un’immagine “falsa” perché a Mitykina c’è una forte presenza cattolica. Ripeto: non che quella foto non sia vera ma altrove con soldati imbottiti di “droga del diavolo” finiva male.
Comunque a me questi sacerdoti ricordano le figure dei parroci italiani nella guerra ‘40-‘45 o San Massimiliano Kolbe. Perché questo è un lager che ospita 60 milioni di persone.
Io appena potrò me ne andrò. Ma con quale coraggio, con quali sentimenti potrò farlo pensando a tutti gli amici che saranno di nuovo costretti a vivere in un grande lager? E’ giusto andarmene? Certo non ho doveri contrattuali, istituzionali o di altro tipo, tali per cui debba restare ma la domanda rimane. C’è un quid che… mi fa dire che forse è giusto restare. Che scelta!
(Un lettore dal Myanmar)
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