Roma, chiesa di san Giovanni dei Fiorentini. Prima della Messa, domenica, la visione di una mostra a pannelli, firmata da Solidarnosc, sulla paternità e l’impegno netto, tenace di Giovanni Paolo II verso il sindacato polacco, artefice del cambiamento e della liberazione pacifica del paese. Il simbolo rosso con le colature che richiamano il sangue versato, la croce alzata sui cantieri di Danzica, la foto sgranata di padre Jerzy Popiełuszko, portano la mente in anni lontani, mai dimenticati, mai dimenticabili, che hanno segnato tanto la giovinezza e le scelte di vita.
Da ragazzi, quel papa forte e gioioso che invitava a non avere paura, ad aprire, anzi “spalancare le porte a Cristo” aveva scaldato il cuore, e spinto a una decisione per la vita. Valeva la pena essere cristiani, per la felicità, per la giustizia e la verità che muovono i sogni della giovinezza.
Forse un po’ ingenuo, l’entusiasmo significava comunque avere in sé l’impronta di Dio, come vuole l’etimologia. E avremmo speso ogni baldanza per le parole e la testimonianza di quell’uomo. Solidarnosc voleva dire una fede che si giocava nella vita, che non aveva paura di confrontarsi con la realtà più dura, che rifiutava la violenza ma non rinunciava al vero, cioè a Cristo. In tanti si partiva con i movimenti cattolici, con organizzazioni di copertura per portare in Polonia amicizia, e copie della Redemptor Hominis, libretti di preghiere. Viaggi estenuanti, bloccati alla frontiera dell’allora Cecoslovacchia, perquisiti sui treni con i cani lupo e le torce in faccia. Ma quei giorni a mangiare pane e cipolle e yogurt (“niema” era la parola subito appresa. Niente. Non c’era niente nei negozi) erano volontà di una scelta di campo. Volevamo imparare dai giovani che non si lasciavano intimidire dalla menzogna, essere accanto a loro per quella che era una nostra sfida, una sfida per l’Europa. Eravamo inconsapevoli di quel che si muoveva nella storia dei potenti, e con sgomento assistemmo alle milizie armate, all’arresto di Lech Wałesa, all’assassinio dei martiri. Ma c’era Karol Wojtyła, lui bastava per tutto.
Quel mattino del 13 maggio, come sempre, ci eravamo incontrati a recitare le Lodi prima di entrare a scuola. Giorni difficili, rabbiosi: alle porte il referendum per abrogare la legge sull’aborto, i cristiani si erano spesi tanto, e nel nostro piccolo facevamo i banchetti nei mercati, davanti al liceo, e ce li sfasciavano, acqua e fuoco sui volantini, ma c’era Karol. Così, al pomeriggio, anche senza cellulari, la notizia dell’attentato al nostro papa arrivò come uno schianto, lasciandoci attoniti, facendoci crescere di colpo, finalmente coscienti della portata della sua presenza, della sua azione. Così forte da doverla zittire.
Ricordo l’indifferenza dei compagni dei collettivi, non pochi dicevano che in fondo se l’era cercata, i giornali si erano appuntati sul lupo solitario, anche se solitario non era, non poteva essere. I depistaggi immediati e seguenti non riuscirono ad estirpare la certezza che un’ideologia dura a morire aveva cercato di spegnere la sua voce, di resistere al disvelamento delle bugie e della repressione che la Polonia stava mostrando al mondo. Non saremo mai grati abbastanza ai polacchi, ai cristiani polacchi, che ci spingevano a leggere Vaclav Havel, e i samizdat che arrivavano dalla cortina sovietica. Ma potevamo osare per Karol, allenato a contrastare le dittature, fin da bambino.
La Madonna ha fermato le pallottole, e la storia ha fatto il suo corso, qualche anno e il muro simbolo della barriera di ferro sarebbe stato abbattuto. Giovanni Paolo c’era ancora, e ci sarebbe stato per portare la Chiesa nel nuovo millennio. Giovanni Paolo II c’è, non solo sugli altari. Sono attualissime le sue parole, i suoi scritti, la potenza della sua figura anche se molti vorrebbero sminuirla o ridurla a santino, accampando distinguo, sospetti, sospiri a capo alzato. Non c’è miglior modo per ricordare il dono di sé, della sua vita, accolto da Dio per nostra grazia, che fare memoria di chi è stato, delle sue intuizioni profetiche, degli appelli continui e netti a scegliere Gesù, e con Lui l’umanità piena. Che significa difesa della vita, sempre; coraggio di testimonianza e presenza viva di una fede che non si chiude in sacristia, dove farebbe comodo ricacciarla. Il suo volto, il suo sorriso ancora scaldano il cuore. Sono in tanti a sentirsi suoi figli.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.