Una paura, un incubo e una speranza che rimane sempre più flebile: nella lunga intervista oggi a “Repubblica” lo scrittore israeliano David Grossman prova a far capire dal di dentro della guerra Hamas-Israele come in realtà ci stanno – ci stiamo – perdendo tutti. «È un accumularsi di minacce, rabbia, frustrazione: a un certo punto scoppia e ci troviamo improvvisamente nel mezzo di un’operazione militare. O di una vera guerra. La spiegazione è logica, ma non basta per smettere di chiedersi come sia possibile che dopo tutti questi anni siamo ancora prigionieri di questo circolo vizioso», spiega il 67enne tra i maggiori scrittori mondiali esistenti.
Una guerra che nasce da lontano, dall’impossibilità di qualsiasi dialogo in uno Stato dove i cittadini arabi sono considerati di fatto di serie B: Hamas ha colto le scintille dopo i fatti di Gerusalemme e le ha usate «come pretesto per dichiararsi protettore di Gerusalemme e ha appiccato il fuoco. È una violenza orribile quella di cui mi chiede perché spezza ogni idea di coesistenza, il sottile filo che si era creato negli anni e che faceva pensare che gradualmente saremmo riusciti a vivere l’uno accanto all’altro».
GROSSMAN: L’INCUBO E LA SPERANZA
Il tutto mentre alle ultime Elezioni – le quarte in 2 anni, anche questo non contribuisce affatto alla stabilità – un partito arabo (Raam) era riuscito a raggiungere una posizione di rilievo per poter contribuire a sceglier il prossimo Premier: «ci abbiamo messo 73 anni a legittimare i nostri concittadini. E non è neanche una posizione condivisa da tutti: quante volte in questi mesi abbiamo sentito le parole: “Mai con l’appoggio degli arabi”. Ora chiunque abbia aperto alla possibilità di collaborare con loro è accusato di essere un traditore». Il dialogo è sostanzialmente fallito, spiega ancora David Grossman a Rep e non solo per colpa dello Stato ebraico, «Chi per anni ha sostenuto il dialogo è stato delegittimato dall’assenza di risultati e oggi è visto come una sorta di traditore. Da entrambi i lati, crescono solo gli elementi più violenti ed estremisti. Si nutrono l’uno dell’altro: ogni volta che c’è un conflitto lo usano per legittimare le loro posizioni estremiste».
La previsione per la “fine” della guerra è ribadita dallo scrittore come una certezza che ad un certo punto avverrà, ma non per un desiderio di pace, più per sfinimento: «Uno dei due lati a un certo punto non ce la farà più e inizierà una mediazione: bisognerà solo vedere quante persone moriranno nel frattempo. In una situazione che sarebbe potuto essere prevenuta». La paura resta forte per Grossman e la speranza sempre più flebile: «Solo se la minoranza arabo- israeliana si sentirà protetta e la maggioranza di religione ebraica non minacciata, ci sarà la possibilità di creare qualcosa di valore e si ridurrà lo spazio per la violenza. Da entrambe le parti. È il mio sogno, la mia speranza, e oggi il mio timore maggiore è che si spezzi», conclude lo scrittore a “Repubblica”.