I taccuini inediti di Eugenio Corti durante la Campagna di Russia dell’esercito italiano nella Seconda Guerra Mondiale sono stati raccolti e studiati dall’amata moglie del grande scrittore cattolico, Vanda Corti: con il titolo “Ciascuno è incalzato dalla sua provvidenza. Diari di guerra e di pace 1940-1948” (edizione Ares) quei testi mai pubblicati prima sono ora disponibili per tutti. Il racconto del fronte, il dolore di una campagna “disperata” contro un doppio nemico (i russi e l’inverno) e la fede incrollabile di chi proprio in quegli anni durissimi mise a punto l’idea per quel capolavoro letterario che risponderà poi al nome “Il cavallo Rosso”.
Uno di questi testi è stato anticipato oggi da “Avvenire” e riguarda un brano relativo alla permanenza in Russia sul fronte del fiume Don: «Avevo adunato tutti gli uomini, nel gran freddo, e dopo che mi erano stati militarmente presentati (io che alla forma non ci tengo granché nelle situazioni ordinarie, nei momenti brutti ci ho sempre tenuto) avevo loro parlato con impeto, con calore: lottavamo per non morire. Presto, se non riuscivamo a metterci sotto terra, sarebbero cominciati i congelamenti, le bronchiti, le polmoniti». Corti racconta come in quegli istanti eterni, qualcuno davvero poteva morire (e purtroppo morì) l’unica pratica logica e sensata era pregare: «Pregavo invece, insistentemente, lungamente: “Aiutaci o Signore. Siamo poveri uomini. Non permettere che il freddo vinca e ci faccia morire. Non permettere che per causa nostra qualcuno dei più deboli debba soccombere. Aiutaci o Signore”».
CORTI, L’INEDITO DAL FRONTE
Eugenio Corti racconta la vita concreta nelle trincee al fronte, con l’apparente banale divisione dei compiti che in molte occasioni riuscì a salvare la vita dal gelo e dall’ipotermia: «Il freddo era soffocante. Giravo ininterrottamente da un lavoro all’altro, da una squadra all’altra di lavoratori e ora davo di piglio a un piccone, ora a un badile e sostituivo quello fra gli uomini che era più stanco. Giravo poi per l’accampamento perché gente non lasciasse il lavoro per mettersi intorno ai fuochi. Proibii che si accendesse, durante le ore di luce, anche un sol fuoco», scrive ancora lo scrittore nei suoi taccuini dal fronte. Da ufficiale qual era Corti, vi erano alcune lievi “garanzie” che gli altri soldati normali non avevano: ma non per questo vi era meno sensibilità in lui, anzi «Quel freddo non era soltanto una gran sofferenza; era anche una per così dire anti-vita, era come la morte che avanzava lentamente. Mai avevo compreso così chiaramente come vita significhi calore! Poveri cari soldati. Come avrei potuto permettermi, dal canto mio, la minima esitazione, quando io come ufficiale avevo di che sfamarmi, e in brandina con sette coperte potevo sfidare il freddo?». Tanti soldati lo ringraziavano in quelle lunghe settimane al fronte, racconta il tenente Eugenio Corti, eppure il “segreto” di quella sua straordinaria posizione umana non fu affatto nella “bravura” o nello “spirito di sacrificio” (che pure vi erano in quantità ingente): «Pregavo invece, insistentemente, lungamente: “Aiutaci o Signore”». Era questo, in fondo, l’unico vero segreto e risorsa in mezzo al male e al freddo di quella insensata Campagna di Russia.