Una giustizia “distorta per ragioni politiche” – dice Stelio Mangiameli, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Teramo e avvocato – ha condannato Berlusconi nel 2013, ma dopo 8 anni e un’accelerazione repentina nella perdita di credibilità e negli scandali giudiziari, è la stessa che dovrà giudicare dell’operato dell’ex ministro dell’Interno Salvini imputato a Palermo per il caso Open Arms. “La differenza tra le conclusioni della procura e del Gup di Catania e quelle della procura e dei giudici di Palermo, se vi sarà, sarà logicamente letta in questo modo”.
È per questo che le dieci richieste di “spiegazioni” rivolte al governo italiano dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sulla condanna di Berlusconi il 1° agosto 2013 (per frode fiscale nel processo Mediaset) non sono un capitoletto di storia contemporanea, ma riguardano il presente del paese. Dubbi sulla “deviazione dai principi dello Stato di diritto” che tutti i recenti scandali, dal caso Palamara ai verbali di Amara, alla “loggia Ungheria” e alla condotta di Davigo, rendono legittimi.
Che cosa rappresenta per la giustizia italiana questa richiesta della Corte europea?
Va precisato che la Corte europea dei diritti dell’uomo non ha ancora deciso il caso Berlusconi (“Berlusconi contro Italia”, fascicolo 8683/14, ndr), ma ha posto dieci domande alle parti, di fatto allo Stato italiano, da cui traspare che in Europa c’è più di un dubbio sui caratteri della giustizia italiana.
E che cosa o chi investono questi dubbi?
Si dubita che nel nostro Paese vi sia stata una forte deviazione dai principi dello Stato di diritto nel caso di Berlusconi, dal quale traspare l’esistenza nell’ordine giudiziario di giudici non imparziali, di procedure non rette dal principio di tutela dei diritti delle parti, come il diritto di partecipare al processo, il diritto di comprendere i documenti su cui si basava l’accusa nei suoi confronti e, inoltre, la violazione del diritto al giusto processo, del principio di legalità dei reati e del principio di proporzionalità delle pene e persino del principio del ne bis in idem.
Come commenta?
Direi che la Cedu si è fatta della giustizia italiana un’idea pessima, paragonabile con quella di uno Stato profondamente illiberale.
Come effetto della condanna Berlusconi decadde da senatore. Lei all’epoca scrisse su questo giornale che il Pd avrebbe dovuto proteggere Berlusconi, l’opposto di quanto stava facendo. Perché?
Molto semplice. In una democrazia seria e funzionante, come regola di condotta delle forze politiche, vige il principio della “pari opportunità”, per il quale la maggioranza di oggi può diventare l’opposizione di domani e viceversa. Di conseguenza non ci pensa una maggioranza, che è sempre temporanea, a danneggiare in qualsivoglia modo e forma l’opposizione del momento, e questo perché la lotta politica dovrebbe essere leale e condotta attraverso il conseguimento del consenso elettorale. In questo senso, si afferma che l’opposizione dovrebbe godere del rispetto e della protezione della maggioranza.
Se caliamo questo discorso nel 2013?
L’allora maggioranza del tempo era anomala perché il Pd aveva ottenuto il numero maggiore di seggi, ma non era in grado di governare e aveva avuto il sostegno di Berlusconi, che era il capo dell’opposizione e tale restava anche se provvisoriamente impegnato a sostenere il governo Letta. Avere fatto decadere Berlusconi, il 27 novembre 2013, costituiva un atto di slealtà politica, quali che fossero le accuse mosse da parte della magistratura.
Cos’ha voluto dire essersi serviti della magistratura per fare fuori il capo dell’opposizione?
È stato un modo per evitare il confronto politico e mantenere il potere in modo non consono alle regole democratiche. In democrazia non decidono i partiti e neppure i giudici, ma solo il popolo.
Quali sono state le conseguenze di questo errore da parte del Pd al governo con Enrico Letta?
A parte le fratture causate all’interno del Popolo delle libertà – mi riferisco al distacco da Forza Italia di un gruppo di parlamentari guidati da Alfano (Nuovo Centrodestra, Ncd, ndr) – di fatto il governo Letta si auto-indebolì in una situazione già di per sé precaria. Il fatto che proprio Enrico Letta non comprese questa situazione portò rapidamente alla sua estromissione dal governo per opera di Renzi e dello stesso Pd.
Morale?
A volte, i nemici possono risultare migliori degli amici.
Secondo lei c’è un parallelo politico tra Salvini imputato a Catania e Palermo e Berlusconi a processo per frode fiscale?
Bisogna precisare che le richieste della Cedu arrivano quando in Italia è già scoppiato lo scandalo Palamara e il Csm è entrato in una condizione di non funzionalità, poi si è aggiunto il caso dei verbali secretati, il comportamento del giudice Davigo, le accuse al giudice Ardita.
E come definirebbe tutto questo?
È emersa una realtà dove palesemente da tempo le funzioni del Csm, in mano alle correnti della magistratura, sono state distorte per ragioni politiche e dove i magistrati requirenti sono dediti a inquisire sulla base di orientamenti politici. Questo ci porta direttamente dal caso Berlusconi ai casi di Salvini e la differenza tra le conclusioni della procura e del Gup di Catania (Nunzio Sarpietro, ndr) e quelle della procura e dei giudici di Palermo, se vi sarà, sarà logicamente letta in questo modo.
Come valuta quanto sta accadendo nel Csm?
Si tratta di porre rimedio ad una situazione insostenibile. La ministra Cartabia può contare sui suggerimenti del presidente Mattarella che è anche il presidente del Csm e anche lui non può certamente permettere il mantenimento dello status quo. In ogni caso, a prescindere dalle soluzioni, c’è un problema di decadimento generale della magistratura.
Da cosa dipende?
È dovuta a più fattori, tra cui un certo rilievo ha sicuramente la progressione in carriera, frutto di scelte che hanno dequalificato la formazione dei giudici e annullato il merito ai fini della carriera.
Il vero nodo?
A mio avviso resta la divisione delle carriere e la decisione di chi debba dirigere la politica penale nel nostro Paese.
(Federico Ferraù)
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