La Disney prova a replicare l’operazione fatta con i due film di Maleficent: prendere la cattiva di uno dei suoi classici e dedicarle un film in cui se ne racconta la genesi, la nascita di quella cattiveria, le motivazioni profonde che dovrebbero renderla un po’ meno cattiva, anche a costo di rinnegare quegli stessi classici. Crudelia, come si può facilmente immaginare, fa questo percorso con la cattiva de La carica dei 101.
La giovane Estella/Crudelia (prima bambina, poi interpretata da Emma Stone) rimane orfana di entrambi i genitori e trova rifugio presso due ragazzi che vivacchiano con piccoli furti, Horace e Jasper (Orazio e Gaspare nel cartoon). Nonostante le difficoltà riesce a farsi strada col suo talento nel mondo della moda, lavorando per La baronessa (Emma Thompson), la più importante stilista del suo tempo (Londra, anni ’60/’70), la quale però nasconde un segreto tremendo, legato proprio alla madre di Crudelia.
Diretto da Craig Gillespie e scritto da Dana Fox, Tony McNamara, Aline Brosh McKenna, Kelly Marcel e Steve Zissis, Crudelia è una origin story che strizza l’occhio ai film di rapina e che nel tracciare il passato del personaggio delinea una storia molto disneyana di famiglie perdute e famiglie acquisite, di gotico dickensiano riletto nella luce della Swinging London e del pop-rock d’epoca.
Il film racconta il passaggio dalla ragazza brillante ma indifesa al genio cattivo che conosciamo tutti, sorvolando su molti dubbi e questioni morali che un’operazione del genere può comportare, arrivando a recuperare nel finale una dimensione “buonista” che non si sposa minimamente con il personaggio e che risulta difficile legare ai futuri progetti di sterminare cuccioli di dalmata. Ma al di là di questo spiazzamento, il film usa tutti i cliché del romanzesco per ragazzi che in questi anni sta facendo la fortuna del cinema (meno) e delle piattaforme streaming (e infatti Crudelia esce nelle sale e quasi subito anche su Disney+ con accesso premium): voce fuori campo inondante che dice ogni singolo pensiero, commenta ogni singolo gesto come una radiocronaca, carrellate vorticose che creano movimento, musica incessante (una canzone diversa ogni 3 minuti, esclusa la colonna sonora originale).
Sembrano però espedienti per dare l’idea di un ritmo che non c’è, che Gillespie non riesce a creare col racconto e la messinscena, che finiscono per asfissiare ogni momento di libertà, ogni possibilità dello spettatore di godersi il film e provare a entrarvi in contatto in maniera meno superficiale: il regista sembra a disagio dentro un vestito che non gli sta per niente e prova a metterci qualche toppa, ma così facendo ne spegne la creatività in favore della quantità. Crudelia spreca molte delle occasioni di spettacolo che lo script propone perché sceglie il modo più “facile” di metterle in scena e dà il meglio di sé quando “sporca” il glamour della moda e dello stile con trovate proto-punk, come l’esibizione di I wanna be your dog o le entrate in scena di Crudelia contro la Baronessa, sequenze che fanno rimpiangere che il film non sia in mano a un regista che di quelle sporcature avrebbe fatto una vera bandiera, come John Cameron Mitchell (Hedwig o La ragazza del punk innamorato) o a qualcuno che avrebbe lasciato correre la fantasia, che avrebbe permesso al pubblico di goderne e non di doverla cercare come in uno sceneggiato.
Crudelia è soffocato dai suoi costumi, dalle sue scene, dalla sua giostra modaiola che non riesce reinventare un’epoca e cerca di salvare la baracca grazie al duello tra le due protagoniste, vinto secondo chi scrive da Thompson, calibrata in ogni minimo gesto, che sembra dare al personaggio dei tempi che la regia aveva un po’ perso; Stone mostra il suo notevole talento per la commedia, ma il sopra le righe del personaggio – specie della sua evoluzione malevola – sembra un dato da imitare, più che un processo da compiere. E se si perde il senso di questo processo, perde senso anche un’operazione simile.
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