Con più di tremila razzi lanciati da Gaza addirittura su Gerusalemme, dopo i bombardamenti aerei, gli scontri nelle città israeliane tra cittadini arabi palestinesi e cittadini israeliani, la situazione che emerge è drammatica, con motivi purtroppo ormai già visti e novità ancora più preoccupanti. La crisi attuale è infatti composta di due elementi diversi, perché Israele deve affrontare due conflitti che Hamas cerca di trasformare in uno solo sotto l’ombrello della “causa palestinese”.
Hamas infatti con il lancio dissennato di razzi ricerca tre obbiettivi. In primo luogo, dimostrare che la stessa organizzazione esiste, che Israele è sotto minaccia costante; che Hamas è l’unico difensore rimasto al popolo palestinese dopo gli accordi di Abramo tra paesi sunniti e Israele con la benedizione della casa Bianca a guida Trump. L’avvertimento è chiaro: nessuno, si legga Stati Uniti e paesi dell’area, può pensare a qualcosa che assomigli ad una situazione di calma, per non parlare di pace, senza considerare le impossibili richieste di Hamas. Atto teso anche a delegittimare completamente Abu Mazel e l’Autorità Palestinese, per giunta in totale crisi dopo la figuraccia delle elezioni indette e poi rimangiate.
Un messaggio, quello di Hamas, comunicato con estrema forza e determinazione attraverso una potenza di fuoco doppia rispetto al passato, a dimostrazione della capacità di rifornimento di armi e di soldi, tanti, dall’esterno dell’organizzazione palestinese.
Questa doppia crisi, l’azione militare da Gaza in supporto alle violente proteste degli arabo-israeliani, mette in una difficile situazione Israele, perché da un lato non può altro che rispondere duramente e sul piano militare agli attacchi provenienti da Hamas, ma così facendo, agli occhi dei palestinesi, onora i nemici di un’aureola di martiri, rinsaldando la sua leadership.
Ed è questa appunto la novità ed il vero pericolo per Israele. Quello di uno scontro inaudito interno alla propria popolazione, conflitto che non si può permettere. Nessun paese è infatti in grado di sostenere allo stesso tempo una guerra civile e una guerra all’esterno in difesa di una parte.
Ma è anche una campana di avvertimento per gli Stati Uniti, perché dimostra come non sia facile uscire dal Medio oriente, dalle crisi aperte, a loro piacimento, prima puntando sull’Arabia e sui paesi del Golfo e la volta dopo sull’Iran. Perché dietro Hamas vi è Teheran, disposta ad usare ogni pedina dello scacchiere mediorientale per affermare la sua supremazia nell’aerea in una lotta che vede l’Iran contrapposto all’Arabia, sempre più in difficoltà, e adesso alla Turchia. E chissà se dietro il lancio di missili non vi sia la mano di qualche altro paese per alzare il prezzo con l’amministrazione Biden. Magari al momento opportuno, facendo pressioni sulla stessa Hamas per una tregua, dimostrando così di essere centrale, l’ago della bilancia per la stabilità della zona.
Un’ultima osservazione, a scanso di equivoci politologici, e senza discutere dei torti e delle ragioni della guerra (non degli incidenti all’interno di Israele e dei rapporti tra le due comunità). La guerra è terribile, ma è contro il diritto di guerra sparare razzi da postazioni piazzate e mimetizzate tra i condomini civili, vicino agli ospedali, alle scuole. Nessun classe politica che abbia a cuore i destini del proprio popolo, che faccia gli interessi della sua nazione, conduce un’azione militare facendosi scudo dei propri civili, non cercando invece di proteggere il suo popolo costruendo rifugi, e dotandosi di ogni marchingegno, come i sistemi di allarme antiaereo, che possano alleviare le sofferenze della guerra. Il lancio di tremila missili non è un’azione dimostrativa, è un atto di guerra. Solo perché Tel Aviv ha un’ottima difesa antimissilistica che manda a vuoto il novanta per cento dei lanci, risulta poco letale. Non ci si può allora meravigliare della reazione.
Facciamo un esperimento mentale. Pensiamo cosa sarebbe successo qui in Italia, se durante gli scontri negli anni sessanta in Alto Adige con gli irredentisti sudtirolesi, l’Austria avesse reagito sparando tremila missili su Trento. O in Irlanda del Nord, se Dublino in difesa dei cattolici avesse bombardato i protestanti nel nord, gli abitanti di Nottingham o di una qualche altra città del Regno Unito. Per di più, sempre per assurdo, con missili forniti da un nemico frontale, dall’Urss. Come pensiamo che Londra e Roma avrebbero reagito? Sarebbero forse state a guardare? Non ci ricordiamo più la guerra delle Falkland, quando la Tatcher mandò quarant’anni fa una squadra navale a riprendersi le isole occupate dall’Argentina nell’altra parte del mondo e per quattro scogli?
Prima che di giusto o sbagliato, è questione di logica, di rapporti di forza, perché la sicurezza e la deterrenza sono cose serie, che vogliono dire prima di tutto credibilità. Nessun paese minacciato e che per giunta si sente, per motivi storici, isolato agirebbe in modo diverso. Anzi.
Quello che è certo è che l’Europa, oltre agli Stati Uniti, ha una responsabilità enorme. Gaza, Israele sono Mediterraneo, sono davanti a noi. Ma Bruxelles è completamente afona da decenni, come se quel mondo non ci riguardasse, se non per il petrolio e i migranti.
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