La geopolitica italiana sta seguendo la strada annunciata mesi fa da Draghi. Un rafforzamento strategico italiano nel Maghreb attraverso accordi bilaterali era il punto di partenza annunciato per stabilizzare una zona del mondo di grande interesse per il Paese. Draghi ha di fatto coordinato le iniziative comunitarie nella zona ed ha avviato un percorso che è culminato con l’annuncio di un piano straordinario di investimenti in Africa.
Guardare verso le aree con maggiore disavanzo di crescita ed aiutarle ad intraprendere un percorso di recupero economico è l’asse portante di questa fase della politica e lo sarà per anni.
Ma non è un scambio senza corrispettivo. A quei territori, come al Mezzogiorno in particolare, spetta aprirsi a una nuova fase. Molti dei limiti che hanno compromesso lo sviluppo sono legati a sistemi di potere che hanno scarso interesse ad una reale emancipazione e crescita dei quei territori. Troppo forti sono ancora le illegalità e la cattiva gestione, contro cui in quei piani si chiede con forza di agire. A partire da una gestione leale dei migranti.
Anche nel Mezzogiorno è ancora forte e radicata la cultura dell’illegalità, così come molte aree sono gestite dalla politica locale con un fare predatorio o irresponsabile. Molti comuni del Sud sono in dissesto e non hanno risorse per affrontare le quotidiane necessità dei cittadini; il debito, come un macigno, ricorda che per troppi anni si è sperperato. Di recente la Corte costituzionale ha nuovamente sanzionato con l’illegittimità le norme che quel debito volevano spalmare nei decenni a venire e quel debito si getta, come un’ombra tetra, sul futuro di tante città. Pare che sia allo studio un fondo di garanzia con un set di norme ad hoc per aiutare quei comuni e ridare un po’ di risorse alle città che si troverebbero alimenti in default. Ma lo scambio non può che essere improntato al concetto di coniugare solidarietà e responsabilità. Se per un verso, infatti, la politica economica espansiva aiuta ad essere solidali, perché tante sono le risorse da spendere, al contempo non si può non chiedere uno sforzo di emancipazione di quei territori dalle logiche assistenzialiste condite da una generica tolleranza dell’illegalità.
Spesso, infatti, molte condotte si sono giustificate con la penuria di risorse individuali e collettive. Prima tra tutte l’evasione delle imposte locali che riguarda il 60% e oltre dei residenti in molti territori del Mezzogiorno. Imposte spesso più alte di quelle versate in aree con maggiori servizi ed incrementate proprio per risanare bilanci fallimentari. Ma le poste creditorie restano sulla carta e in concreto nessun flusso finanziario adeguato arriva agli enti locali per sostenere i costi dei servizi. Si avvia così una spirale di illeciti che parte dall’impossibilità, per molti, di pagare quanto dovuto e si riverbera nei bilanci degli enti che, per coprire le mancanze, sono costretti ad artifici contabili tali da rendere, almeno formalmente, approvabili i bilanci. L’illecita, a volte obbligata evasione, diviene illecito dell’ente, che si aggroviglia in spirale di falsi bilanci il cui esito non può essere altro che il fallimento.
È una vera e propria trappola in cui cadono tanti amministratori locali e che nasce dall’incapacità di dire la verità, prima di tutto, ai propri cittadini. Ovvio che esiste un problema di sperequazione di risorse tra il Nord ed il Mezzogiorno, ma per coprirlo non si può evadere sistematicamente il pagamento delle imposte. Non è un tema popolare, né tanto meno semplice da affrontare, poiché la politica sa di perdere consenso quando chiede rigore e sa che molta parte delle imposte evase sono a carico di cittadini che, almeno formalmente, percepiscono redditi di vario genere.
Il Mezzogiorno, in pratica, si trova nella spiacevole condizione di dover mentire sui propri conti per rispettare norme che sono evidentemente del tutto inadatte. Serve ripartire da questo per aprire una stagione nuova con un patto di legalità e verità tra il Mezzogiorno, i suoi enti locali in dissesto ed il Governo. Un patto che esoneri i cittadini dal pagare imposte locali che siano più alte di quelle delle aree più avanzate e virtuose (una clausola di equità fiscale) ma al contempo renda nella sostanza impossibile evaderle (rafforzando i meccanismi di recupero e di svantaggio in caso di evasione). Soprattutto, rendere più severe le pene per chi rappresenti nei bilanci di quegli enti poste attive che mai si potranno concretizzare.
Dare risorse per favorire la crescita, ma chiedere legalità e rispetto per le norme che tutelano gli interessi dei cittadini, è l’unica via per un’amministrazione efficiente. Ripartire da equità e correttezza fiscale.
Abbattere le imposte locali, nella sostanza, non collegandole a ipotetici ed inattuabili piani di rientro ed al contempo obbligare gli enti ad un gestione virtuosa scoraggiando gli amministratori dal perpetrare sistematici falsi in bilancio.
Crescere, nella sostanza, per il Mezzogiorno e per le aree destinatarie delle risorse di questi anni, deve essere un obbiettivo sia economico che sociale, perché solo con Paese con vicini stabili e corretti e con un Sud che abbandona le logiche fallimentari degli ultimi decenni usciremo dalla crisi davvero più forti.
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