C’è stata poca attenzione alla “comunicazione” presentata dal Commissario Paolo Gentiloni in materia del piano di riforma della “Business Taxation” con due obiettivi principali: finanziare il Next Generation Eu e dare all’Unione europea un sistema di tassazione delle imprese che, secondo i propositi dell’Esecutivo comunitario, dovrebbe essere “solido, efficiente ed equo”. La roadmap proposta ha una doppia prospettiva, a lungo e a breve termine.
Nel breve termine, secondo “la comunicazione”, la riforma deve sostenere l’Europa nel percorso di ripresa dalla pandemia, rimuovere gli ostacoli agli investimenti transfrontalieri nel mercato unico e creare un ambiente favorevole a una crescita equilibrata e sostenibile per il futuro. Nel più lungo periodo, si mira alla nuova cornice per la tassazione delle imprese nell’Ue: il “Business in Europe: Framework for Income Taxation” (o Befit), che dovrebbe essere presentato entro il 2023 e fornire un unico regolamento in materia di imposte sulle società per l’Ue, basato sulla ripartizione e su una base imponibile comune. Dovrebbe anche ridurre gli oneri amministrativi, i costi di conformità, le opportunità di elusione fiscale, e sostenere l’occupazione, la crescita e gli investimenti nel mercato unico. Fornirebbe anche entrate proprie e non basate esclusivamente sulla contribuzione degli Stati membri al bilancio comunitario.
Non è questa la sede per commentare in dettaglio una proposta che sarà oggetto di approfondimento nei prossimi mesi: il percorso è, comunque, tutto in salita perché difficilmente gli Stati membri cederanno parte della loro potestà tributaria. Soprattutto in una fase come l’attuale caratterizzata da ristrettezze di bilancio (e da un’impennata del debito pubblico) per tutti.
L’aspetto saliente è che una proposta del genere sia stata fatta. È un’indicazione della grande centralità assunta dalla Commissione europea in una fase in cui pochi se lo sarebbero aspettato. Soprattutto dopo i problemi emersi nell’affidamento alla Commissione medesima della contrattazione per la provvista vaccinale per fare fronte alla pandemia.
La Commissione è un’istituzione ibrida di derivazione dalle Alte Autorità esistenti in Francia quando l’allora denominata Comunità economica europea, composta di solo sei Stati membri, cominciò a fare i primi passi. È un organo tecnico, ma con valenza politica in quanto ha potestà di iniziativa per la normativa comunitaria ed entra nel “triangolo decisionale” per l’approvazione di leggi e regolamenti. I suoi componenti sono nominati dai Governi degli Stati membri, non eletti. Quindi, non hanno piena legittimità democratica. Ciò limita il loro ruolo e peso.
Tanto più che in numerosi Stati dell’Ue è invalsa la prassi di “inviare a Bruxelles” uomini e donne politici che in Patria erano considerati sul viale del tramonto. In altre occasioni, esponenti della Commissione correvano a rientrare nel Paese d’origine non appena si presentava un’opportunità propizia: clamoroso il caso di Franco Maria Malfatti che, insediato Presidente della Commissione il primo luglio 1970, si dimise dall’incarico il 21 marzo 1972 per partecipare alla campagna elettorale che stava per iniziare in Italia. Ci fu anche una volta in cui tutta la Commissione (presieduta dal lussemburghese Jacques Santer) dovette dimettersi in blocco in quanto travolta da scandali da rubagalline. Non sempre, quindi, la Commissione ha avuto un’effettiva centralità come protagonista della politica e strategia dell’Ue.
Si può azzardare un parallelo tra la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, ancora ai primi passi, e i due mandati di quella presieduta da Jacques Delors (1985-1995). Sia Delors che von der Leyen erano arrivati a Bruxelles perché davano ombra in Patria. Jacques Delors, sindacalista cattolico, era una spina nel fianco per Mitterand. Ursula von der Leyen è amica ma anche concorrente di Angela Merkel come potenziale Cancelliere. Ambedue hanno ereditato un’istituzione che guidata dai loro predecessori (ambedue del Lussemburgo, Gaston Thorn e Jean-Claude Juncker) aveva perso autorevolezza e peso. Ambedue assunsero l’incarico in fasi complicate per il processo d’integrazione europea. Ambedue ebbero difficoltà iniziali superate con idee brillanti: il mercato unico e l’unione monetaria ai tempi di Delors; la prontezza di azione nei confronti della crisi sanitaria e l’avvio (un po’ celato dapprima, più palese dopo misure come la “comunicazione” della settimana scorsa) dell’unione fiscale.
È prematuro fare pronostici per il futuro della Commissione presieduta da Ursula von der Leyen. Tuttavia, in questa fase del suo operato ha grande spazio di manovra politica anche perché due dei principali Stati dell’Ue (Germania e Francia) sono alle prese con difficili campagne elettorali e un terzo (l’Italia) ha un Governo di unità nazionale ancorato unicamente sull’autorevolezza del presidente del Consiglio. C’è, quindi, un vuoto che può colmare egregiamente
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