Non ha probabilmente neppure avuto bisogno di dire “si fa come dico io”, tanto era chiaro il concetto. Draghi sta decidendo le nomine insieme ai suoi più stretti collaboratori, ed è molto probabile che i partiti – chi più, chi meno – se lo aspettassero fin dal giorno in cui hanno accettato di sostenere il suo governo. Molto si sta scrivendo in questi giorni sul “metodo Draghi” e sul decisionismo del presidente del Consiglio. Non bisognerebbe però dimenticare, osserva Antonio Pilati, saggista, ex commissario Agcom, alcune variabili importanti.
La prima è il Recovery. È il Recovery a condizionare le scelte. Ma “che il Piano di ripresa raggiunga lo scopo, non è scritto da nessuna parte”. Una seconda variabile riguarda le strategie del governo su alcuni capitoli chiave come la rete unica. Sulla quale è possibile che il governo non sappia ancora esattamente cosa fare. Ci resta una strana situazione politica. “Non antidemocratica” osserva Pilati, “questo no, ma certamente eccezionale”.
L’obiettivo dei vertici delle partecipate pubbliche è attuare l’indirizzo strategico del governo. Questo indirizzo qual è?
L’obiettivo di Draghi è trovare una squadra di manager in sintonia e capace di attuare le iniziative previste dal Recovery Plan.
Fuori i partiti dalle nomine: con Draghi tocca al merito. È una delle letture più diffuse.
Concetto sbagliato. È un errore leggere questa fase con lo schema lottizzazione vs. meritocrazia. I partiti sono già ai margini di questa fase politica, che appartiene al progetto imperniato su Draghi per dare all’Italia, via Recovery, una chance di ripresa.
Lei dice che i partiti sono ai margini, però sostengono il governo.
È tutto quello che sono chiamati a fare. Quanto alle nomine, diciamo meglio: prima i partiti facevano scelte sulla base delle loro priorità e strategie. Adesso il criterio non è un merito astratto, ma la sintonia con la strategia del presidente del Consiglio.
Dunque è il Recovery che comanda. Cioè l’Europa.
Siamo in una fase di grande emergenza economica. La priorità per l’Italia è superare questa emergenza. Che lo strumento – il Recovery – sia efficace e raggiunga lo scopo, lo vedremo più avanti.
Cosa significa?
Che il risultato non è scritto.
Non mi sembra un punto secondario. Il governo fa scelte strategiche condizionate ad un progetto che dipende da altri e non sappiamo come andrà a finire.
È un progetto condiviso da Draghi con i partner europei (e americani). Le nomine sono funzionali a questo progetto.
In Cdp tocca a Scannapieco. Prima di lui, Palermo ha acquisito la maggioranza di Oper Fiber. Un progetto che piaceva al governo Conte. Che direzione intende prendere il governo Draghi?
Non lo sappiamo. Sappiamo che la rete a fibra ottica è un elemento importante per lo sviluppo dell’Italia. Ma ci sono diverse vie per raggiungere l’obiettivo. Con Palermo, il governo Conte 2 privilegiava la creazione di un’unica società con dentro la rete di Tim e Open Fiber. Quest’opzione ha vari problemi. Il primo è che l’Ue non ama i monopolisti della rete nel caso in cui siano verticalmente integrati e operanti sul mercato dei clienti finali.
Il secondo?
La rete è il principale asset di Tim e Tim non ha alcun interesse a cederne il controllo. Tanto è vero che Gubitosi, durante il governo Conte, si è battuto con grande energia per mantenere il 51% della società che sarebbe nata dalla fusione con Open Fiber.
Insomma l’Ue e Tim hanno visioni non perfettamente allineate su questa materia. E poi?
Poi ci sono gli interessi che gravitano intorno a Open Fiber e a Macquaire, il fondo australiano che ne ha acquisito una quota significativa e costosa. Comporre questo mosaico non mi sembra semplice.
Neppure in senso strategico.
Mentre su questo punto il governo Conte aveva una posizione definita, anche se portava a un potenziale conflitto con l’Ue, non ho compreso – ma forse è una mia insufficienza – quale sia la strategia del governo attuale e quali siano le formule operative con le quali la vuole realizzare.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) parla di “reti” al plurale. Sembra ci si voglia allontanare dalla visione monopolista che all’Ue non piace.
Questa però non è ancora una soluzione. Le formule sono varie: si possono avere entrambe le reti in competizione, oppure fare una rete unica fissa e incentivare il potenziamento di capacità delle reti mobili in modo da avere una concorrenza fisso-mobile.
Lei difende un’opzione?
Io penso che la cosa migliore, visto che ci sono due società, sia lasciare che competano fra loro sulla rete fissa.
Che ne è dei partiti dopo queste nomine?
Quando il governo Conte, sostenuto da M5s, Pd, Iv è caduto, si è aperta una fase completamente nuova che Draghi ha avuto mandato di gestire. I partiti che non avevano dato grande prova nella legislatura 2013-2018, e che con l’ultimo governo Conte hanno fatto guai seri, sono stati messi in posizione secondaria. Le nomine sono la logica conseguenza di quello che è successo con la caduta di Conte. Non sarà l’ultimo caso in cui vedremo una situazione di questo genere.
Che cosa glielo fa pensare?
Il semplice fatto che l’emergenza non sia finita. La partita è ardua e difficile, e il risultato positivo, come ho già detto, non è scontato.
Teme un’evoluzione non solo tecnocratica, ma antidemocratica?
Temo una situazione molto difficile perché anomala dal punto di vista politico: un premier che decide per conto suo con i partiti di fatto obbligati a sostenerlo. Non è una situazione antidemocratica, ma certamente è eccezionale.
Prima il no a Letta sulla tassa di successione, poi il no a Orlando sul blocco dei licenziamenti. “Lavoriamo nella stesa direzione” ha detto oggi Letta dopo avere incontrato Draghi. È così?
Per adesso il Pd mi sembra impegnato soprattutto a lanciare messaggi al proprio elettorato anche a costo di trovarsi fuori linea rispetto al governo. Situazione curiosa: Salvini fa quadrato intorno a Draghi, mentre il Pd, partito governativo per eccellenza, si smarca.
Il metodo Draghi funziona nel momento in cui sottrae spazi al centrodestra e al centrosinistra. L’equilibrio reggerà fino a quando?
È l’emergenza la ragion d’essere del governo. I suoi tempi dipendono dai tempi della ripresa che riuscirà ad innescare. Oltre che, naturalmente, dalle prossime scadenze politiche: elezioni amministrative e Quirinale.
(Federico Ferraù)
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