Il Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu ha deciso di avviare una indagine sulle violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi occupati e in Israele dopo i recenti scontri tra arabo-israeliani e frange dell’estrema destra ultra-ortodossa. Una decisione forte, ovviamente rispedita al mittente dal governo israeliano che l’ha definita “vergognosa” e che “incoraggia i terroristi di tutto il mondo”.
In realtà, come ci ha spiegato l’ex corrispondente Rai da Gerusalemme Filippo Landi, potremmo essere davanti a una svolta: “La commissione di inchiesta va ad aggiungersi a una lettera inviata nello scorso marzo al governo israeliano, in cui la Corte penale internazionale dell’Aja ha fatto sapere di aver autorizzato un’indagine sugli atti compiuti dallo stesso governo israeliano”. Una svolta, ci ha detto ancora Landi, perché all’interno di Israele esponenti di spicco giudicano positive queste prese di posizione: “atti di speranza” in grado di smuovere le coscienze israeliane e porre fine alla mancanza di giurisdizione della Corte superiore israeliana.
La decisione di costituire una commissione di inchiesta contro possibili violazioni dei diritti umani da parte di Israele è una decisione forte. Come la giudica?
La notizia è doppiamente importante, perché segue una iniziativa del Tribunale internazionale dell’Aja, che nel marzo scorso ha mandato una lettera al governo israeliano annunciando che ritiene di essere legittimata a indagare sugli atti compiuti durante il conflitto a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e a Gaza. A questa lettera Netanyahu ha risposto dicendo che rivendica il diritto di Israele ad agire secondo le proprie leggi e rifiuta ogni ipotesi di crimini di guerra. Questi due fatti vanno letti insieme e creano una distaccata ma anche preoccupata attenzione all’interno non solo del mondo politico ma anche militare israeliano.
Perché i militari? Hanno paura che si scopra un modo di agire non conforme al diritto internazionale?
Perché nel concreto l’iniziativa dell’Aja può portare all’emissione di mandati di cattura nei confronti di esponenti civili e militari. In concreto non potranno sicuramente essere applicati all’interno di Israele, ma è possibile vengano applicati ai paesi che aderiscono all’Aja. Se un ministro israeliano gode dell’immunità diplomatica, non altrettanto vale per i numerosi esponenti militari che spesso sono in visita all’interno dei paesi della Nato. Ci sono possibilità di ampie misure restrittive nei loro confronti.
Lei ritiene possibile si arrivi a tanto? Hamas da una parte dei paesi occidentali è considerata organizzazione terroristica e si è sempre sostenuto il diritto di Israele all’autodifesa.
Nel febbraio scorso, quando la Corte dell’Aja si espresse a favore del proprio diritto a indagare su quello che accade nei Territori palestinesi occupati, un famoso giornalista israeliano, Gideon Levy, scrisse che bisognava accogliere come un atto di speranza quello che giungeva dall’Aja.
Cioè?
Perché, ha detto, può scuotere le coscienze israeliane e porre fine a una assenza di giurisdizione da parte della Corte suprema israeliana.
Sembra che qualcosa stia cambiando nell’approccio a Israele, anche all’interno di Israele stesso. È così?
Tutto questo è arricchito dal fatto che dall’Aja è stato detto, e sarà oggetto d’indagine da parte dell’Onu, che l’inchiesta riguarderà non solo gli atti di guerra, ma anche quello che succede a Gerusalemme Est con le costruzioni di nuove abitazioni nel vecchio territorio palestinese e gli espropri di abitazioni che abbiamo visto in queste settimane.
Come può influire tutto questo negli equilibri fragili della politica israeliana?
Potrebbe portare, o forse no, alla costituzione sotto la guida di Lapid di un nuovo governo di unità nazionale con l’esclusione di Netanyahu. Si vedrà la settimana prossima.
Un altro elemento di novità sono le dure accuse da parte della Francia, che ha parlato di “rischio apartheid” in Palestina. Come mai i francesi si sono mossi così da soli?
Sicuramente la Francia ha percepito un elemento di novità a livello internazionale rispetto agli ultimi fatti accaduti a Gerusalemme e a Gaza. È interessante notare che la Francia non sarebbe isolata in questa sua esternazione. Sui giornali israeliani sono usciti articoli in cui Netanyahu e gli altri politici sono stati invitati a riflettere sulle nuove tensioni che si sono manifestate tra Israele e Usa.
Ci spieghi.
Tensioni che la consumata abilità di un uomo di lungo corso come Biden ha tenuto sotto tono. Molti commentatori hanno detto che Israele non dovrebbe sottostimare queste tensioni legate alle azioni compiute dal governo e dai militari in questo conflitto. Un solo esempio: la distruzione del palazzo dei giornalisti a Gaza non ha riguardato solo al Jazeera, ma anche la sede della principale agenzia di informazione americana, la Associated Press, che si è espressa in termini durissimi, come non mai, nei confronti di Netanyahu. Ricordiamo poi il ferimento avvenuto a Gerusalemme di un famoso reporter della Cnn. Tutto questo ha colpito l’opinione pubblica americana e anche una parte dell’establishment di Biden.
Settimana prossima delegazioni israeliane e di Hamas si incontreranno per consolidare la tregua in atto. Che possibilità ci sono vada a buon fine?
È interesse di ambo le parti mantenere la tregua in corso, anche se non quella di durata decennale come si era detto alcuni anni fa. Non sarà facile, perché i problemi di Gaza oggi sono peggiorati rispetto ad allora, basti sottolineare la distruzione di larga parte del sistema sanitario.
(Paolo Vites)
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