Ancora un attacco terroristico. La Francia di Emmanuel Macron non ha pace. Ieri si è consumata l’ennesima aggressione contro una poliziotta ferita da parte di un uomo noto per la sua radicalizzazione, ma libero di muoversi. L’ultimo episodio, questa volta avvenuto a La Chapelle-sur-Erdre, vicino a Nantes, conferma il livello critico a cui è esposto il Paese e l’intera Europa.
Ndiaga D., il terrorista poi ucciso dalla polizia, si era radicalizzato in carcere, durante la detenzione scontata per reati comuni. Qui, stando a quanto emerso, sarebbe stato avvicinato da imam autoproclamati che lo hanno introdotto all’estremismo islamico. Una storia come tante, comune anche in Italia. E il problema delle carceri torna di estrema attualità, nonostante sia spesso ignorato.
Da anni la Francia vive nel terrore a causa di attentati che hanno provocato centinaia di vittime. Ieri, solo per caso, la poliziotta accoltellata è sopravvissuta. Ma molti, troppi prima di lei, hanno pagato con la vita la cultura dell’accoglienza sfrenata e l’avanzata dell’estremismo jihadista. Non sorprende, dopo anni di sangue che nell’attacco al Bataclan e alla redazione di Charlie Hebdo hanno avuto il culmine, vedere un Paese che deve fare i conti con ampie zone occupate dall’islamismo radicale e dove vige una legge parallela a quella ufficiale. Il governo di Macron tenta di correre ai ripari con una proposta di legge che, dopo essere stata edulcorata rispetto alla bozza iniziale, si pone l’obiettivo di rimarcare il rispetto dei valori repubblicani.
La ferita che si è aperta in Francia, però, sarà difficile da curare, perché l’islamismo ormai affonda le sue radici tra la popolazione più giovane. Nelle scuole gli insegnanti rischiano ogni giorno di essere aggrediti da genitori musulmani radicali che rifiutano, per i loro figli, le lezioni contrarie ai dettami della religione. Il caso di Samuel Paty, il docente sgozzato nei mesi scorsi, non deve essere considerato un’eccezione. Negli ultimi dieci anni gli attacchi terroristici in Francia hanno preso di mira poliziotti, professori, redazioni di giornali e intellettuali. Insomma, la gente comune che, secondo l’ideologia jihadista, è considerata infedele e quindi da eliminare.
Una spirale di sangue che anche nelle carceri trova terreno fertile. È in questi luoghi che avviene l’indottrinamento ai danni di soggetti che si dimostrano propensi alla radicalizzazione. Qui subiscono un vero e proprio lavaggio del cervello che li trasforma in soggetti pericolosi e pronti a tutto.
È troppo facile liquidare ogni aggressione con la motivazione dell’instabilità psicologica del responsabile. Il problema è molto più ampio di quanto non voglia far credere la visione buonista.
L’attentatore che ieri ha colpito a La Chapelle-sur-Erdre, vicino a Nantes, è solo uno dei tanti che i terroristi hanno indottrinato in Occidente.
La politica internazionale, e quella europea soprattutto, dovrebbe prendere coscienza del rischio. Perché la mancata integrazione non è solo responsabilità dei governi, ma anche di coloro che non hanno voglia di rispettare le regole della democrazia. La Francia, in particolare, dovrebbe rivedere tutta la sua politica e quella imposta da una certa sinistra. Il terrorismo è un cancro da estirpare prima che vada in metastasi.
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