In questo non breve periodo di emergenza dovuto alla pandemia, c’è stata anche una felice sorpresa: quella di vedere riaffermata sul campo la presenza vivace dei corpi intermedi e il loro contributo, necessario e spesso insostituibile, al bene dell’intera comunità. Nei campi della salute, dell’assistenza, del contrasto alla povertà l’apporto è stato vistoso. Il fenomeno è sorprendente perché apparso in direzione ostinata e contraria rispetto all’onda tsunamica della “disintermediazione”, l’idea cioè che fra individuo e potere politico, e individuo e potere economico non ci debbano essere di mezzo “terzi incomodi”, cioè le formazioni sociali, le libere aggregazioni dal basso attorno a valori e interessi condivisi. L’individuo-cittadino sarebbe immediatamente risolto nell’astratta volontà generale “alla Rousseau” (inteso come filosofo o come piattaforma Casaleggio, a piacere); l’individuo-consumatore lo sarebbe nel… centro commerciale globale.
Oltre alla sorpresa, però, conviene uno studio attento del fenomeno. Quello italiano che ad oggi si annuncia il più completo e approfondito è stato curato da Franco Bassanini, Tiziano Treu e Giorgio Vittadini, contiene i risultati di due anni di ricerche, promosse dalla Fondazione Astrid e Fondazione per la Sussidiarietà, cui hanno contribuito una quarantina di studiosi, e sarà pubblicato entro giugno da Il Mulino con il titolo Società di persone? I corpi intermedi nella democrazia di oggi e di domani.
La presentazione di quest’opera, venerdì scorso, a Roma nella sede del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), è stata l’occasione per un confronto fra i tre autori ed esponenti delle istituzioni e della politica (Giuliano Amato e Silvana Sciarra, giudici della Corte costituzionale; Maurizio Lupi, parlamentare) e di organizzazioni datoriali, sindacali e associative. Qui non si intende presentarne una sintesi (che si può invece trovare sul sito della Fondazione per la Sussidiarietà insieme alla registrazione video del convegno), ma solo catturarne qualche spunto essenziale.
Intanto è bene rendersi conto della consistenza del fenomeno “formazioni sociali” in Italia. La ricerca ci informa che sono attive 375mila realtà intermedie, operanti nei campi dell’assistenza, della cultura, dello sport, della previdenza, dell’istruzione e formazione professionale, dell’imprenditoria e del sindacato, e di numerosi altri settori; nell’insieme contano 6,7 milioni di iscritti e ricevono contributi da 10,5 milioni di italiani. L’85% di esse sono associazioni; il restante sono fondazioni, cooperative, sindacati, enti. Sette italiani su dieci considerano questo mondo necessario per colmare le insufficienze del sistema pubblico dei servizi.
Con uno sguardo più ampio, ci si può rendere conto che l’individualismo – base concettuale e pratica di tanta dottrina politica ed economica da duecento anni a questa parte – non regge: non è vero che egoismi individuali e “mano invisibile” producono “necessariamente” il meglio per tutti (Vittadini); “Stato e Mercato hanno fatto registrare una lunga sequenza di fallimenti, sia singolarmente presi, sia quando hanno agito insieme” (Bassanini): è imprescindibile il “terzo pilastro”, la comunità nelle sue libere articolazioni. “Una società, tanto più se liquida come l’attuale, non è governabile senza adeguati fattori popolari aggreganti. In loro assenza finisce che rabbia e insoddisfazione vengono usati come collante di un populismo mosso divisivo e magari animato da pulsioni punitive (Amato).
Ma tutto il modello “top down”, il sistema delle decisioni calate dall’alto, si è dimostrato fallimentare. Infatti mentre questo modello si imponeva – dall’uomo solo al comando in poi – l’Italia “arretrava in settori fondamentali per il benessere del popolo come sanità, assistenza, istruzione, reddito delle famiglie” (Vittadini, con riferimento a dati Istat: 150mila abbandoni scolastici, 2,2 milioni di Need, giovani che non studiano, non hanno lavoro e non lo cercano).
Ancora Vittadini: “Una politica top-down non conosce la realtà e perciò butta via i soldi. Basta vedere il non uso dei fondi europei”.
Dunque la politica è chiamata a convertirsi, ma di brutto. Ripartire dall’ascolto della realtà, utilizzando le antenne e la sensibilità e le esperienze di chi agisce nel tessuto vivo della società, non degli esperti di cattura del consenso a mezzo comunicazione demagogica. “Come è inscindibile il binomio persona-società, altrettanto inscindibile il binomio società-politica. Se no il pluralismo partitico degenera in un ghetto marcescente che si occupa solo di portare i propri adepti al potere” (Lupi, citando Vaclav Havel). Non si tratta solo di “riconoscere e valorizzare”, ma anche di “coinvolgere” i corpi intermedi nella “co-progettazione” delle politiche in particolare per i servizi pubblici, come ha ufficialmente sancito una storica sentenza della Corte costituzionale (n. 131/2020), peraltro coerente con precedenti pronunciamenti.
Per i corpi intermedi non è stagione di allori ma di assunzione di responsabilità. Amato auspica che essi dialoghino con la politica non solo “dal di fuori, come spesso accade adesso, con il rischio di derive corporativistiche; ma anche dal di dentro, partecipando con propri esponenti offerti ai partiti ai processi di elaborazione delle politiche. Va ricostituito o rafforzato il senso della connessione tra i propri valori e interessi specifici e “l’architettura generale” della comunità intera (ancora Vittadini, che ritiene urgente un’attenzione educativa ai valori ideali in questa direzione).
C’è un banco di prova imminente: l’attuazione del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza). Il terzo settore, inizialmente escluso, è stato giustamente recuperato. È solo un punto di partenza, il lavoro è tutto da fare, anzi forse prima ancora da immaginare. Ma non si può evitare: non è possibile una ripresa consistente e tenace del Paese, senza un coinvolgimento delle formazioni sociali organizzate, senza un nuovo risorgimento dei corpi intermedi.
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