Nelle Considerazioni finali pronunciate ieri, Ignazio Visco ha lanciato un’importante proposta di riforma del funzionamento dell’Unione Europea. Ricordando come il nostro Paese attraverso il Recovery fund possa risolvere i propri problemi strutturali e “dimostrare con risultati concreti l’importanza di una Unione più forte e coesa”, il Governatore della Banca d’Italia ha infatti anche spiegato che “una capacità di bilancio comune, accompagnata dalla revisione delle regole per le finanze pubbliche nazionali, dovrebbe fondarsi sulla possibilità di una stabile emissione di debito, garantita da fonti di entrata autonome”. Visco ha specificato altresì che “il debito volto a dare corso a una politica di bilancio europea sarebbe ben distinto dal debito pregresso dei singoli Paesi, che resterebbe responsabilità nazionale”. Secondo Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, le parole del numero uno di via Nazionale sono molto importanti, “perché colgono la possibilità che esista una politica fiscale europea non ‘ancillare’, ma significante accanto alle politiche nazionali. Si tratterebbe di un passo in avanti decisivo per l’euro perché, come lo stesso Visco afferma, gli consentirebbe di ‘assumere pienamente il ruolo di valuta internazionale’, che evidentemente non ha”.
Quella di Visco è una proposta che troverebbe d’accordo Draghi?
Se non è stata condivisa esplicitamente con il premier, sicuramente rispecchia anche il suo pensiero. E credo che tale proposta possa essere giocata a livello europeo da Draghi.
Gli consentirebbe di recuperare l’ipotesi degli eurobond che aveva riproposto alla fine di marzo?
Esattamente. Sul piano formale, del debito di cui parla Visco sarebbe responsabile non un singolo Paese, ma tutti quelli dell’Ue. E, come ha evidenziato lo stesso Governatore della Banca d’Italia, si tratterebbe un passo in avanti verso un’unione più solida. Anche se non lo dice esplicitamente, un meccanismo simile c’è già, si tratta di rafforzarlo in modo che i i Paesi membri vengano sostenuti da una politica di bilancio fiscale in concerto con quella monetaria a livello europeo.
Una sorta di Recovery fund strutturale.
Proprio così. Di fatto questo strumento agevolerebbe, via crescita del denominatore, la diminuzione del rapporto debito/Pil dei singoli Paesi e renderebbe impossibile una crisi del debito come quella che abbiamo vissuto nel 2011/12 perché ci sarebbe un bilancio europeo che può intervenire nelle situazioni inattese. Va da sé, però, che servirebbe un cambiamento nel Patto di stabilità e crescita, visto che finora è stato di instabilità e decrescita.
Di fatto lo spread non avrebbe più l’effetto che ha avuto in passato.
Lo spread esisterebbe ancora, perché ci sarebbero i titoli del debito pubblico dei singoli Paesi, ma non sarebbe così impattante. Inoltre, gran parte del nostro debito negli ultimi anni è stato emesso a tassi particolarmente bassi. Saremmo quindi nelle condizioni di poter avviare una ripresa del Paese non zavorrata, se il Patto di stabilità e crescita funzionasse sulla base di quello che dice di voler essere.
Cambiare il Patto di stabilità; emettere debito comune: possiamo già immaginare che ci saranno forti resistenze da parte di alcuni Paesi europei…
È fuor di dubbio. Non dobbiamo farci troppe illusioni nell’immediato. Quello che dobbiamo accogliere molto favorevolmente è il fatto che il Governatore della Banca d’Italia sostiene una tesi di questo genere. Visco ha anche anche fornito una risposta alla critica secondo cui un meccanismo come quello da lui proposto potrebbe generare “trasferimenti sistematici di risorse a favore dei paesi con debito più alto”, spiegando che tali timori “possono essere fugati con la definizione esplicita di meccanismi volti a impedirli. Non si tratterebbe, in tutta evidenza, di cancellare le passività nazionali ma di ridurre la frammentazione e la volatilità che oggi contraddistinguono nell’Unione Europea il mercato dei debiti sovrani”. È chiaro che ci vorrà del tempo, spero non troppo. L’ideale è avviare un progetto di questo genere prima che finisca l’erogazione delle risorse del Recovery fund.
Creare un bilancio comune vorrebbe dire anche introdurre un’imposta comune a livello europeo?
Sì, non dobbiamo dimenticare che anche per il Recovery fund si prevede l’introduzione di imposte per finanziare il fondo. Credo che questo renda ancora più importante il contrasto all’evasione fiscale nel nostro Paese: è talmente sostanziosa che riuscire a ridurla ci consentirebbe di avere più risorse sia per crescere che per contribuire al progetto di cui ha parlato Visco.
Visco ha detto anche “l’espansione del Pil potrebbe superare il 4%”. Sempre ieri l’Ocse ha previsto una crescita del 4,5% per l’Italia quest’anno. Cosa pensa di queste stime?
Non vorrei fossero troppo ottimistiche. Spero ovviamente che si concretizzino, ma inviterei a guardare non solo ai tassi di crescita, ma anche ai volumi della perdita di Pil che si sono determinati: nel 2020, rispetto al 2019, stiamo parlando di circa 160 miliardi di euro. Recuperare questo “vuoto” non è semplice, tenendo presente che una parte di esso si può riempire, ma un’altra parte no.
Cosa intende dire?
Faccio un esempio molto semplice: se ho consumato meno cibo durante la crisi, non è che ora mangerò il doppio. Questo per dire che c’è una parte della caduta che non è possibile recuperare se non c’è una spinta alla crescita ben maggiore rispetto a una situazione normale. La condizione difficile in cui ci troviamo richiede molta attenzione nell’utilizzare modelli che sono stati costruiti sulla base di un’economia normale. Per questo credo sia più utile ragionare con le quantità piuttosto che le percentuali, che possono anche ingannare.
(Lorenzo Torrisi)
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