Nuovo scandalo nei confronti della casa reale inglese, la cosiddetta The Firm: un’inchiesta effettuata dal tabloid britannico Guardian, ha svelato l’esistenza di alcuni documenti provenienti dagli archivi nazionali, che evidenziano alcune clausole negoziate da Buckingham Palace che esentavano la regina e la sua famiglia dalle leggi che impediscono sia la discriminazione razziale quanto quella sessuale. In poche parole, secondo il Guardian, la Regina e famiglia potevano “superare” queste leggi, senza essere condannati. Stando a quanto emerso, fino alla fine degli anni sessanta “immigrati o stranieri di colore” erano esclusi dai ruoli ufficiali a Buckingham Palace, e la vicenda sta creando un certo scalpore oltre Manica.
La replica ufficiale è giunta poco dopo, come riferisce Skytg24, e non viene contestato il fatto che la Regina fosse esentata dalla leggi, ma so puntualizza che i reali avevano un ‘percorso separato’ per ascoltare i reclami relativi alla discriminazione. Viene inoltre precisato che “Persone provenienti da minoranze etniche erano impiegate a Buckingham Palace fin dagli anni Novanta”.
“BUCKINGHAM PALACE ESENTE DA LEGGI ANTI DISCRIMINATORIE”: IL DOCUMENTO DEL ’68
I raggiri alle leggi anti discriminazioni sarebbero tutt’ora in vigore, anche se solamente sulla carta, e tale rivelazione emerge in un momento tutt’altro che facile per The Firm, colpita dalla tragica morte di Principe Filippo, e nel contempo, divisa al suo interno per via della nota querelle Meghan Markle, principe Harry, l’intervista rilasciata a Oprah Winfrey in cui l’ex attrice americana aveva appunto accusato i Real di avere atteggiamenti razzisti, accuse sempre rispedite al mittente.
Fra i documenti citati dal Guardian ve ne è anche uno risalente al 1968 firmato da un alto funzionario, tale TG Weiler, all’epoca dei fatti chief financial manager a Palazzo, che chiariva in maniera ineluttabile come non fosse “pratica (della casa reale) assegnare incarichi amministrativi (clerical roles) a immigrati di colore o stranieri”, ai quali veniva riservato solamente il ruolo di “schiavitù”, una pratica a cui la famiglia non si oppose di fatto, tutelandosi con una procedura parlamentare detta Queen’s Consent, per “aggirare” le leggi anti discriminatorie che il governo di Harold Wilson stava per approvare.