L’intento è contenere il consumo di plastica usa e getta, ma per una controversa definizione di polimero naturale si finisce per penalizzare l’industria cartaria, sollevando lo scontento del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ma anche le perplessità del ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani.
Dal prossimo 3 luglio entrerà in vigore la direttiva europea Sup, Single Use Plastic, che porterà al divieto di commercializzazione di posate, piatti, cotton fioc, cannucce, tazze, bastoncini e contenitori per alimenti e bevande in materie plastiche in tutti i Paesi membri. La disposizione nasce per incentivare la riduzione della plastica monouso nella prospettiva di risolvere l’inquinamento del territorio e del mare. Sebbene il problema sia più nella testa della gente che smaltisce in modo scorretto o abusa del monouso, tuttavia i decisori europei hanno scelto nel 2019 per la soppressione piuttosto che per l’educazione come soluzione per contribuire a risolvere il degrado ambientale.
L’Italia ha recepito la direttiva approvandola in via definitiva lo scorso aprile introducendo due novità. Una più restrittiva, con l’inclusione esplicita dei bicchieri di plastica tra i prodotti monouso soggetti a una riduzione dell’impiego (ma non restrizioni alla messa in commercio); e un’apertura: riconoscendo agli articoli monouso in plastica compostabile di rappresentare un’opzione preferibile laddove non sia possibile l’uso di alternative riutilizzabili.
Lunedì scorso la Commissione ha pubblicato le linee guida per armonizzare l’applicazione della direttiva negli Stati membri, scegliendo di seguire un orientamento penalizzante e sorprendentemente in contrasto con la visione di economia circolare dalla stessa Ue. Difatti, nelle prescrizioni rese pubbliche lo scorso 31 maggio, sono messi al bando anche i prodotti monouso in carta ricoperti di un velo di plastica con funzione di barriera o i materiali poliaccoppiati (carta + plastica) come i tetrapak. Un colpo inferto a un settore dell’economia nazionale quello del packaging cartaceo che vale 50mila addetti e che ha portato il Presidente di Confindustria a fare pressing sul Commisario Gentiloni. Per ora senza esito.
Ma c’è dell’altro che rasenta il surreale. La distinzione tra plastiche biodegradabili e non biodegradabili diventa una semplice categoria mentale in quanto entrambe cadono sotto la scure della Direttiva. Si salvano solo i prodotti monouso fabbricati a partire da polimeri naturali non modificati chimicamente. Per intenderci l’amido di mais, la cellulosa o la lignina estratta dal legno soddisfano la definizione di polimero naturale, mentre le plastiche biodegradabili e additivate anche ottenute da prodotti organici, no. Insomma, secondo Bruxelles la bioplastica biodegradabile non è poi tanto amica dell’ambiente. Un danno per le molte aziende italiane che hanno investito risorse e tecnologie per sviluppare plastiche biodegradabili. Ma per come si legge nel documento comunitario, attualmente non sono disponibili standard tecnici ampiamente condivisi per certificare che uno specifico prodotto plastico sia biodegradabile in ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni. Bisognerà aspettare sei anni con la revisione nel 2027 della Direttiva in base all’avanzamento del progresso scientifico e tecnico riguardante i criteri di biodegradabilità per ipotizzare qualche spiraglio per le bioplastiche. E per nessuno comunque varrà l’espediente di definirsi articolo multiuso per dribblare la direttiva.
Per non rientrare nella tipologia monouso, si spiega nelle linee guida, un articolo deve essere destinato e progettato per essere utilizzato più volte prima dello smaltimento finale, senza perdere funzionalità e altre qualità. Ma chi impedisce un consumatore consapevole a riutilizzare più volte una cannuccia di plastica e cestinare subito la sostituta di carta? A confonderci ulteriormente le idee a noi abituati nella pandemia all’asporto in recipienti in polpa di cellulosa certificati compostabili, è stata pubblicata la ricerca dell’organizzazione di consumatori europei Beuc di cui fa parte Altroconsumo, in cui emergono i rischi per la salute umana dovuti al rilascio negli alimenti di sostanze chimiche tra cui Pfas utilizzati per rendere impermeabili questi materiali ecologici.
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