È un’occasione da non perdere quella di poter vedere o rivedere tutti i dieci episodi del Decalogo, il capolavoro che Krzystof Kieslowski aveva girato per la televisione polacca nel 1988 (sono tutti sulla piattaforma di Amazon Prime). Quel ciclo aveva rappresentato una sorta di rivoluzione, perché aveva portato la qualità più alta del cinema in un prodotto televisivo. Prima di allora c’erano state altre serie come Berliner Alexanderplatz di Rainer Fassbinder e Heimat di Edgar Reitz, girate per la tv tedesca.
Poco dopo sarebbe arrivato David Lynch con il suo Twin Peaks. Tutte produzioni per il piccolo schermo che hanno documentato, forse meglio e più del “grande” cinema, alcune questioni cruciali della fine secolo, riuscendo a raggiungere platee larghissime di pubblico
Decalogo si rifà ai Dieci comandamenti, anche se nei titoli non vengono mai esplicitati, perché sono richiami semplicemente con il numero rispettivo. Va anche detto che si tratta di un’opera a quattro mani, in quanto concepita insieme a Krzystof Piesiewicz, avvocato polacco e difensore di molti oppositori del regime e coautore delle straordinarie sceneggiature.
Siamo nella Polonia comunista, in una Varsavia cupa e sfiancata. Gli episodi, che non superano mai l’ora, sono ambientati tra i casermoni del condominio Stowski, luogo di destino dell’umanità che “popola” i dieci episodi del Decalogo. Il genio del duo Kieslowski-Piesiewicz riesce però a spaccare questi scenari così asfittici e a fare irrompere nello spazio di quelle stanze, di quelle scale intagliate nel cemento, di quei vialetti senza un filo d’erba, gli imprevedibili colpi di coda della vita. Kieslowski, sequenza dopo sequenza, smantella l’idea che i comandamenti possano essere recepiti come precetti che tagliano la realtà in due (chi li rispetta e chi no). Non ne smantella certo le verità; piuttosto smantella la pretesa di chi presume di essere titolare di quelle verità.
Il Decalogo è l’opposto di un cinema a tesi: gli episodi non si chiudono mai con delle risposte, ma lasciando sempre delle domande aperte. Ogni volta, all’inizio, a livello superficiale si può cogliere una violazione formale del precetto biblico, ma poi con l’avanzare della storia quella prima sensazione è messa in discussione, a volte persino ribaltata. Quella prima “colpa” viene invariabilmente affiancata da colpe di altri che non la cancellano ma la proteggono da condanne troppo facili da parte di chi sta guardando il film.
Come nel grande cinema, le storie del Decalogo sfuggono da ogni prospettiva per noi prevedibile e a volte auspicabile; si complicano di imprevisti che non erano stati messi nel conto. Cambiano le carte in tavola di chi pensa moralisticamente di aver trovato una quadra. Difficile stabilire chi sia nel giusto o nell’errore, come accade nell’episodio avvincente e meraviglioso dedicato al “santificare le feste”. Anche in quel caso è difficile tagliare la realtà in due, seppur ci si trovi di fronte ad una violazione e a un’offesa da parte del marito traditore che sembra inaccettabile. Così alla fine di ogni episodio Kieslowski si affida a uno sguardo; uno sguardo di pietà, di perdono o di dolore; uno sguardo che non risolve la realtà, ma l’abbraccia in tutte le sue pieghe inesplicabili. E la libera dalla violenza subdola del moralismo.
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