Silvio Berlusconi ha dato un colpo di acceleratore verso la federazione con la Lega ipotizzata da Matteo Salvini. Impegnato a ritagliarsi un nuovo ruolo dopo la prolungata assenza imposta dai postumi del Covid, pare che il Cavaliere abbia trovato la posizione in campo: quella del federatore. “Consideriamo con grande attenzione la proposta di Salvini di una federazione di centrodestra. Non diciamo di no, ne parleremo nelle sedi dedicate del partito.
Di sicuro una maggiore unità con le altre forze del centrodestra consentirà di dare maggiore forza alle nostre battaglie storiche”, ha aggiunto il Cavaliere. Che si è pure spinto oltre: “Poi mi piacerebbe pensare in futuro a un partito unico del centrodestra: speriamo di convincere Fratelli d’Italia”. Ma Giorgia Meloni non ci pensa proprio: “È un’operazione che non ci riguarda”, ha fatto sapere.
La federazione ha varie motivazioni alle spalle. Salvini ha bisogno di un accreditamento centrista e moderato: non può ammetterlo apertamente, ma sa bene che ormai in Italia non si governa contro l’Europa che sta per sganciare oltre 200 miliardi di euro per fare ripartire il Paese. Il capo degli azzurri ha bisogno di dialogare con il segretario leghista per capire se può essere davvero lui l’erede della leadership forzista. Entrambi devono tenere lontane le voci secondo le quali potrebbe riproporsi la “maggioranza Ursula” – in sostanza la coalizione che sostiene Mario Draghi senza la Lega e con il Pd in posizione chiave – soprattutto in vista del voto per il Quirinale. Con le elezioni amministrative alle porte e nel pieno del braccio di ferro per la scelta delle candidature a sindaco, né Forza Italia né la Lega hanno interesse a mostrare che il centrodestra presenta crepe più larghe di quelle che sono fisiologiche in una fase di serrate trattative come questa.
Ma la prospettiva di una convergenza tra Salvini e Berlusconi è temuta quasi più nello stesso centrodestra che nel fronte opposto. Quelli di Coraggio Italia scuotono la testa; d’altra parte la saldatura tra moderati e leghisti metterebbe in ombra la nuova formazione centrista. E poi ci sono le tensioni interne al partito azzurro, dove esultano gli storici sostenitori dell’asse con Salvini (vedi Tajani, Bernini e Ronzulli) mentre masticano amaro le ministre Carfagna e Gelmini che non a caso sono al governo con Renato Brunetta: Draghi punta proprio sull’appoggio dei moderati. Perché non c’è solo l’eredità di Berlusconi da gestire, ma comincia a profilarsi anche il lascito di Mario Draghi se dovesse spiccare il volo verso altre destinazioni (Quirinale o Bruxelles).
Dietro la spaccatura interna agli azzurri si profila il dilemma inevitabilmente connesso a questo tipo di operazioni: se cioè la fusione tra due forze politiche le rafforzi o invece le indebolisca. Non è detto che la federazione valga la somma degli attuali voti dei due partiti: essa potrebbe perdere per strada i moderati che non vedono di buon occhio i sovranisti, e viceversa la Lega rischia di regalare alla Meloni i propri irriducibili che temono un annacquamento delle posizioni tradizionali. Se la Lega conta 10 e Forza Italia 5, non è detto che la federazione valga automaticamente 15. Lo insegna la storia del primo “predellino”, quando cioè Berlusconi fece la fusione a freddo tra Forza Italia e Alleanza nazionale. Tempo un paio d’anni o poco più e se ne andarono prima Gianfranco Fini e poi la frangia che diede vita a Fratelli d’Italia. Con tanti saluti all’“unità tra le forze della coalizione”.
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