Caro direttore
come ogni Governo vediamo nuovamente modificare, con grande risalto mediatico, il codice degli appalti nell’intento di agevolare la realizzazione delle opere pubbliche; mi sembra che per l’ennesima volta si sia fatto un “pasticcio”, molto più determinato da esigenze d’immagine e pedissequi adempimenti di presunte o vere imposizioni “europee”.
Le posso assicurare che agli addetti del settore (imprese, stazioni appaltanti, professionisti) almeno nell’ambito di realtà medio piccole come comuni o enti territoriali la comunque percezione sia dell’ennesimo disastro, determinato da ragioni almeno apparentemente incomprensibili.
La materia è complessa e quindi vorrei enucleare brevemente quelle che mi sembrano le criticità più rilevanti, senza volere in ciò essere esaustivo.
1) L’attuale codice degli appalti (Dgls 50/2016) “partorito” in pochissimi giorni nella primavera 2016 da allora è stato modificato ben dodici volte (oltre un “avviso” di rettifica pubblicato dopo solo tre mesi dalla prima edizione per emendare centinaia di errori del testo originale); va da sé che una normativa tanto determinante nella gestione delle risorse pubbliche abbia una tale incertezza del diritto, perché di fatto tale è, non fa che porre già un grosso ceppo all’efficienza della Pa. Infatti, oltre alla circostanza che a oggi spesso “convivono” cantieri che afferiscono a normative anche sensibilmente diverse (essendo che per molti aspetti “vale” la regola alla data della gara e non quella attualmente vigente), c’è un ulteriore aspetto che ai più non è noto ma determinante nella quotidiana gestione delle gare e dei lavori. Il codice degli appalti è una norma complessa (220 articoli più gli allegati in attesa da cinque anni del regolamento attuativo) di tipo verticale che quindi vale genericamente per ogni ambito delle attività della Pa; la concreta declinazione operativa è costituita poi dalla prassi, dalla giurisprudenza e dai pareri (più o meno apprezzati) di Anac e tale corpo di “procedure operative” si forma nel corso di almeno un anno, giusto per “subire” la successiva modifica della normativa. Conclusione: interminabili periodi di confusione, incertezze e ricorsi che è giusto quello che si vorrebbe evitare.
2) La disciplina del subappalto o meglio la sua “quasi” completa liberalizzazione non è che la miope e astratta adesione ai principi nord-europei di stampo ordo-liberista (per dirla con parole di un noto e apprezzato collaboratore del suo giornale). L’abrogazione al limite del subappalto non è altro che un “regalo” ai general contractors più o meno grandi che, almeno al livello dei lavori inferiori alla soglia europea (poco più di 5.000.000 di euro), spesso sono scatole completamente vuote “gestori” di lavori, spesso senza nemmeno un solo addetto che effettivamente svolge attività operativa in cantiere (tradotto operai in cantiere). È l’immagine di uno sviluppo economico del solo profitto senza sviluppo occupazionale (almeno inteso nei termini di occupazione stabile) e interesse diretto alla realizzazione dell’opera, con lo sfruttamento di fatto delle piccole realtà artigianali, così diffuse nel nostro Paese. Tutto si regge sullo squilibrio contrattuale di fatto incontrollato tra grossi “distributori” di lavori e micro/piccole imprese che, quando la giustizia civile impiega non meno di dieci anni per una sentenza definitiva, sono sistematicamente sfruttate e sottoposte al ricatto economico. Chi pensa diversamente credo non abbia mai frequentato un cantiere; l’ispettore di un noto ente di certificazione internazionale nell’ambito dell’edilizia mi aveva confidato di avere rilevato fino a sette livelli di subappalto (uno legale e sei di fatto) e se questo può essere una fattispecie eccezionale, certamente i due/tre livelli di subappalto non sono rari. Questo senza considerare la qualità del prodotto finale perché, a dispetto dei principi affermati nella riforma appena approvata, il limite del subappalto, senza entrare in questa sede in specifici tecnicismi, aveva degli strumenti oggettivi e di immediata applicazione per il controllo degli operatori effettivamente impiegati nella costruzione. In questo sono veramente stupito del ruolo supino del sindacato in quanto tutti i nuovi controlli ipotizzati ben difficilmente troveranno applicazione pratica visto che già non funzionano quelli attuali.
Non si può poi tacere sul fatto che dalla precedente soglia numerica puntualmente normata del limite al subappalto si passa ora alla discrezionalità, seppur motivata, della stazione appaltante negli eventuali limiti da applicarsi; così che, come mi evidenziava l’altro giorno la dirigente dell’ufficio contratti di un comune di medie dimensioni, ora, mancando una definizione precisa inizieranno i contenziosi, se mai già non ci fossero, anche sulle scelte applicate in tema di subappalto dalle stazioni appaltanti.
3) Per non tediare ulteriormente il lettore, vorrei solo porre un breve cenno alla tanto conclamata eliminazione dei bandi di gara fino alla soglia di lavori inferiori a 1.000.000 di euro, per garantire una più efficiente e rapida gestione dei lavori; la norma si presta in moltissimi casi (e fino a 350.000 euro è veramente praticamente senza limiti) al puro arbitrio della stazione appaltante. Forse legalmente non è così, ma sarebbe molto facile evidenziare i vari meccanismi applicati per eludere qualsivoglia pubblicità alla gara che un tale impianto normativo di fatto favorisce. Il tema pertanto non è quindi l’accelerazione dei lavori, ma decidere o meno se si voglia applicare una logica strettamente privatistica (a rischio di diventare clientelare), nella gestione dei contratti pubblici; gli strumenti reali di accelerazione ci sarebbero e come ebbi già modo di scrivere si potrebbero applicare, ma si tratta di capire se c’è un reale interesse in tal senso ovvero se non si voglia scegliere la via più semplicistica e facile dell’eliminazione di veri o presunti vincoli.
4) Da ultimo il grande tema mai affrontato della progettazione quasi che la realizzazione dell’opera pubblica sia in termini di mera esecuzione, mentre un elemento fondamentale resta la documentazione tecnico-legale sulla cui base si fonda poi l’attività esecutiva. In questi anni l’unico intervento abbastanza chiaro in tema ho avuto modo di leggere è dell’allora ministro Delrio e recentemente da un articolo apparso sul suo giornale; una buona progettazione è la premessa per porre in gara documenti inoppugnabili, eseguire in tempi rapidi l’opera e avere un prodotto qualitativamente elevato. Tutto questo, che sarebbe fondamentale, non è mai affrontato e nessuno ne parla mai compiutamente. Anzi la progettazione nel migliore di casi è vista come un elemento di costo quasi inutile e nel peggiore caso, tutt’altro che infrequente purtroppo, una possibilità di ricambiare favori; abbiamo un consenso unanime tra gli operatori del decadimento esponenziale della qualità della progettazione ovvero del fatto che i progetti siano redatti di fatto da aziende fornitrici e poi quasi automaticamente trascritti dai professionisti. Qui la “mannaia” della liberalizzazione ha colpito ancora più gravemente in quanto ora fino a 139.000 euro (che è una soglia abbastanza elevata per la progettazione) abbiamo la possibilità de ‘”l’affidamento diretto anche senza la consultazione di più operatori“; al lettore ogni conclusione in tema.
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