Ancora una volta, schiere di sedicenti politologi hanno dovuto prendere i loro sprezzanti coccodrilli politici di Angela Merkel e riporli nel cassetto. Ennesima figuraccia. Non a caso, l’esito del voto in Sassonia-Anhalt rappresenta ciò che gli anglosassoni definiscono un worst kept secret. Ovvero, una notizia nota a tutti ma che si finge di ignorare. Malamente. Silenzio di tomba nei talk-show e nei tg, poco più d una cronaca interna sui giornali.
Cosa sarebbe accaduto, invece, se alle regionali in Sassonia-Anhalt fosse andata come vaticinavano i sondaggi? Ovvero, Alternative fur Deutschland vincente e primo partito, exploit dei Verdi e Cdu relegata al terzo posto con siderale distacco? E invece, è andata come mostra questa tabella riassuntiva: non solo la Cdu ha guadagnato il 7% rispetto alla scorsa tornata di voto regionale, piazzandosi al primo posto e quasi doppiando la destra nazionalista, ma il partito ambientalista che già tutti gli analisti politici dipingono come destinato alla Cancelleria stagna attorno al 6%. Ultimo nella regione.
E se l’emorragia costante di consensi della Spd ormai non fa più notizia, ecco che a fare sensazione sono i quasi 6 punti percentuali persi dalla Linke rispetto al 2016 e, soprattutto, l’ottimo risultato dei Liberali. Tanto per capirci, cari lettori: nella ex Ddr di Erich Honecker e della Stasi, nel Land con il reddito pro capite più basso di tutta la Germania riunificata, i vincitori delle elezioni locali sono i democristiani e i liberali. Cosa dite, forse un titolo lo avrebbe meritato nei tg un esito simile? Tanto più, alla luce dei de profundis preventivi nei confronti di Angela Merkel e del suo presunto tramonto politico inglorioso. Nani che discutono sull’altezza dei giganti.
Avrei avuto voglia di fare una bella rassegna stampa di giudizi simili sulla Cancelliera. Anche di articoli usciti su questo sito. Ma sarebbe stato inutile: chi nasce intriso di ideologia, morirà tale. Perché l’anti-germanesimo di alcuni eminenti accademici e politici è assolutamente assimilabile all’adesione cieca verso i totalitarismi politici: divora la ragione dall’interno, lasciando che siano le viscere a prendere il sopravvento. Al riguardo, in molti avranno avuto mal di fegato domenica sera. Armin Laschet no, invece. L’inconsistente e insulso candidato alla Cancelleria della Cdu avrà stappato una birra, godendosi il successo apparecchiatogli a tavola dalla Cancelliera: dopo 16 anni di era Merkel, forse anche lui avrà una possibilità di vittoria. Non per meriti propri, ovviamente. La Mutti ha sfoderato la proverbiale settima vita, come i gatti. E lo ha fatto nel contesto peggiore in assoluto: una ex Ddr piena di risentimento economico verso non solo l’Europa ma anche l’Ovest ricco del Paese, frutto marcio lasciato in eredità dal Covid e da una riunificazione che necessiterà almeno di un altro paio di generazione per digerire totalmente i rimpianti Ossie.
Alla Merkel è stato imputato tutto: gli errori nella gestione del lockdown, quelli nella prima fase della campagna vaccinale, l’approccio prima troppo tenero verso l’Ue e poi un eccesso di durezza, terminato il semestre di presidenza di turno. Mancava soltanto che le venisse chiesto conto del maltempo perdurante per buona parte della primavera e il novero sarebbe stato completo: a differenza di molti, quasi tutti i suoi colleghi, lei ha continuato a lavorare. A testa bassa. Chiedendo addirittura pubblicamente scusa quando capiva di aver sbagliato, come nel caso delle chiusure troppo draconiane imposte in un primo momento per Pasqua.
Qualche genio definì quel gesto di debolezza e sintomo di una brillantezza politica orma svanita: poveretto, deve essere dura oggi ingoiare quei risultati elettorali. E attenzione, perché questo risultato arriva a pochi giorni dal board della Bce di dopodomani. Con quale spirito di presenterà in Consiglio, Christine Lagarde?
Segretamente, la speranza era paradossalmente quella per una vittoria di Alternative fur Deutschland contemperata da un buon risultato dei Verdi: l’importante era ridimensionare del tutto le speranze della Cdu in vista del 26 settembre. E invece, proprio mentre i seggi venivano aperti in Sassonia-Anhalt, il domenicale Bild am Sonntag pubblicava l’ultima rilevazione demoscopica su campione nazionale compiuta da Insa: i cristiano-democratici avrebbero guadagnato voti per la seconda settimana di fila e ora sarebbero in vantaggio di 5 punti percentuali sui Verdi, a loro volta alla terza settimana consecutiva di emorragia di consensi e bloccati al 21%. Soltanto a inizio maggio, il partito ambientalista aveva toccato il record storico del 25%. La Spd sarebbe accreditata di un terzo posto al 17%, mentre Liberali e Alternative fur Deutschland sarebbero appaiati al 12%. Solo il 6% per la Linke.
Cosa farà ora Isabel Schnabel, fedelissima della numero uno dell’Eurotower e anima da colomba della Germania? Proseguirà con le sue deliranti sottovalutazioni dell’inflazione, aggrappandosi al mantra della sua transitorietà? Difficile. Per un paio di motivi. Primo, per la quarta settimana di fila, gli hedge funds hanno ridotto le loro posizioni rialziste sulle materie prime. Tradotto, da oggi in poi ogni aumento delle dinamiche di prezzo sarà riconducibile a trend macro e non meramente di speculazione. Ovvero, ciò che realmente c’è di rotto nella supply chain dell’economia reale e che invece si è ridimensionato a fenomeno di ebollizione congiunturale delle valutazioni, a loro volte esacerbate e auto-alimentate dalle scommesse dei fondi.
Secondo, ce lo mostra questo grafico, in base al quale ad aprile gli ordinativi industriali in Germania hanno patito un calo inaspettato a causa di un aggravamento della condizione di scarsità di semi-conduttori sul mercato. Un -0,2% contro le attese degli analisti per un +0,5%, il tutto in un contesto che nel mese di maggio ha visto il settore-trainante dell’automotive registrare – per il medesimo motivo legato alla disponibilità di chip – un -20% di produzione e un -27% di export.
Insomma, a cavallo fra la fine del secondo trimestre e l’inizio del terzo, il dato di crescita dell’economia tedesca rischia di patire un netto rallentamento: proprio nel pieno del periodo elettorale per le legislative di fine settembre. Pensate che la lettera-contributo di Wolfgang Schaeuble al Financial Times sia stata scritta a caso e soprattutto in base a un tempismo svincolato da interessi diretti? Pensate che Jens Weidmann, dopo trimestri interi di accettazione aprioristica di ogni deroga della Bce ai propri regolamenti, in ossequio ai diktat europeisti imposti proprio da Angela Merkel, ora non batterà i pugni sul tavolo, se sarà necessario farlo?
Attenzione, quanto verrà deciso e comunicato fra 48 ore dal board della Bce andrà letto in controluce e sul medio periodo. Difficilmente ci saranno richiami draconiani a un vero e proprio tapering degli acquisti. Anzi, il linguaggio potrebbe formalmente essere ancora molto accomodante. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli, nel medio termine. E l’autunno per l’Italia sarà decisamente duro, fra elezioni regionali dal sapore di vera e propria conta nazionale e impatto del blocco dei licenziamenti sulle dinamiche dell’economia reale e dei rapporti di forza nel mondo del lavoro.
Inoltre, attenzione all’ulteriore criticità: Christine Lagarde prenderà la parola per la conferenza stampa di rito alle 14:30 del 10 giugno. In assoluta e perfetta contemporanea, a Washington saranno le 8:30 del mattino e verrà diffuso il dato CPI sulle dinamiche dei prezzi di maggio: qualche analista, in primis quelli di Nordea, parlano di un possibile dato shock, già oggi ben oltre il 3%. Certo, la Fed tranquillizzerà tutti, facendo ancora una volta ricorso al mantra della transitorietà del trend. Ma non è così. E a confermarlo è proprio il fatto che nella ex Ddr, la gente abbia premiato Cdu e Liberali. Ovvero, il rigore fiscale contro i deliri monetaristi. E non a caso, silenzio di tomba sui media.
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