Cari lettori, dopo una prolungata assenza (problemi personali) i tempi sono decisamente più che maturi per tornare ad aggiornarvi sulla situazione dei mercati marittimi. In fondo oggi il tema risulta più ricorrente del solito nelle cronache a causa del suo collegamento con altre questioni attuali ed importanti come lo spettro dell’inflazione, per non parlare della riesumata minaccia di stagflazione, terminologia da anni ’70, tornata di moda negli ultimi mesi.
Oggi parleremo di carico secco, quello che comprende tutte le materie prime non liquide, principalmente minerali, cereali e carbone che vengono trasportati nelle porta rinfusa (bulk carriers). Il mercato dei noli viene rappresentato in modo molto trasparente da un indice di riferimento: Baltic Dry Index (BDI). Questo indicatore risulta molto popolare per seguire e prevedere anche l’andamento dell’attività economica generale, perché storicamente il suo movimento risulta molto correlato con quello della crescita di ricchezza globale (Global GDP growth). In passato abbiamo già visto come, al pari di tanti altri indicatori simili sopratutto quando presi singolarmente, possa anche risultare facilmente fuorviante.
Fatta questa premessa possiamo dirvi che nel 2021 il BDI ha iniziato inaspettatamente a correre come non succedeva da quasi 10 anni toccando vette che per la precisione non si vedevano dal lontano 2012. Mentre sulle ragioni dietro questa esplosione risulterà difficile fornire una spiegazione certa, una cosa possiamo assicurarvela al 100%, fino a dicembre 2020 neanche il più ottimista degli analisti se lo sarebbe minimamente immaginato. In realtà, dopo una prima metà del 2020 da incubo, nella seconda metà dell’anno si era già vista una discreta ripresa per questo settore. Al tempo stesso storicamente i primi tre mesi dell’anno risultano quasi sempre il momento peggiore e questo, con mezzo mondo alle prese con le chiusure generalizzate causa pandemia, di certo non prometteva nulla di meglio. Proviamo a spiegare da cosa questa sorpresa possa quindi essere dipesa e da cosa invece difficilmente possa dipendere.
Iniziamo da quei fattori che all’apparenza o da un’analisi superficiale potrebbero erroneamente sembrare delle valide spiegazioni, magari solo perché facilmente collegabili all’attualità. Uno potrebbe essere la vittoria elettorale di Biden e conseguente cambio di amministrazione negli Usa, in fondo anche su queste pagine avevamo previsto in questa eventualità un potenziale beneficio per il carico secco. In realtà dal punto di vista dei dazi imposti da Trump al momento non ci risulta che sia ancora cambiato molto, ma sopratutto il mercato era partito prima che lo stesso nuovo Presidente si insediasse alla Casa Bianca. Un’altra ovvia spiegazione dovrebbe essere quella di uno spettacolare rimbalzo dell’attività economica grazie all’avvento dei “presunti” nonché “miracolosi” vaccini. Peccato che anche qui le tempistiche non coincidano, visto che persino il Regno Unito, incontrastato campione d’inoculazioni (il Governo di Israele non si offenda), indipendentemente dal grande successo in questo campo abbia tenuto chiuso il Paese da fine dicembre 2020 a metà aprile 2021 quando parzialmente ha iniziato finalmente a riaprire.
Altra fantasiosa teoria in cui mi sono imbattuto nelle pagine di certi quotidiani recentemente, seppur riferita al mercato delle porta contenitori, vorrebbe additare anche il costo del taglio sulle emissioni per l’attuale rincaro dei noli. In fondo la Green Economy si sa che di sti tempi sia come il prezzemolo, non tanto per questioni cromatiche, ma per il suo infilarsi facilmente ovunque. L’anno scorso avevamo dedicato un intero articolo a questo argomento, visto che la normativa era entrata in vigore si nel gennaio, ma del 2020 (!) e con effetti decisamente recessivi per il mercato dei noli. Lungi da me voler difendere una politica che da sempre ritengo meramente speculativa oltre che pseudoecologica come quella del taglio delle emissioni. Ma per questa specifica circostanza mi tocca darle un’assoluzione piena, perché “il caso non sussiste”.
Certo qualcuno potrebbe provare a collegare questo tema con quello della demolizione per cause tecnologiche, quindi richiamando i fondamentali dell’offerta di navi. Peccato che numeri alla mano questo teorema stenti a stare in piedi. Infatti, seppur meno di prima, sia lo scorso anno che quello in corso hanno visto la flotta in costante espansione. Stessa cosa per le porta contenitori oltretutto e con variazioni di anno in anno che comunque oscillano sul filo del singolo punto percentuale, insomma poca roba. Cosa ancora più importante questa conversione verde dell’industria al momento si è prevalentemente risolta col semplice consumo di un nuovo carburante più pulito (riduzione contenuto di zolfo) che, per quanto più costoso, non obbliga nessun armatore a demolire la propria nave. Aggiungerei “per fortuna” peraltro, visto che l’adeguamento riguarda quasi l’intera flotta esistente!
Ma passiamo ora dalla lista dei sospettati facili tanto quanto improbabili a quella dei più credibili veri responsabili. Logicamente dietro questa folle corsa dei costi di trasporto si cela un cocktail di diversi elementi, alcuni più evidenti, altri meno. A febbraio avevamo già fornito una prima lettura della situazione elencando diverse ragioni che ora riprenderemo come aggiornamento.
Prima di tutto, se per ora è mancato il rilassamento della guerra commerciale tra Usa e Cina, per fortuna del carico secco quella tra cinesi e australiani si è solo inasprita. Ma vi dirò di più riprendendo anche quell’argomento che tanto piace alla gente che piace! Visto che a quanto pare siamo appena entrati con prepotenza nell’era della decarbonizzazione, almeno per quanto riguarda le pagine dei quotidiani di punta e nei salotti che contano della politica europea, partiremo proprio dal carbone per spiegare la corsa del nostro BDI. Vi suggerisco infatti di andare a dare un occhiata al movimento sul prezzo di questa anti-materia prima dei super eroi “green”.
Vi do un anticipazione in pillole, il prezzo del carbone, lo stesso fermamente condannato alla dismissione nel Vecchio continente, ha messo a segno un bel +103% da un anno a oggi. Penserete che mi stia ripetendo, in effetti ne avevamo già parlato a febbraio, giusto? Non esattamente, visto che dalla data del nostro articolo a oggi ha fatto un bel +60%, quindi ha più che raddoppiato la corsa rispetto a dove l’avevamo lasciato. Certo il clima è stato impietoso, il freddo globale rigido e più prolungato del solito, ma il trionfo del carbone, oltre a non avere minimamente turbato la risolutezza dei fanatici propositi verdi degli europei, necessita di essere contestualizzato in una più generalizzata corsa di quasi tutte le materie prime. Approfondiremo meglio nelle conclusioni dell’articolo quelle che sembrano essere le reali ragioni dietro questo improvviso rincaro orizzontale, per ora limitiamoci al loro effetto sui trasporti.
Non è un segreto che un mercato rialzista prolungato scateni l’attività di trading, quindi più scambi che non sono necessariamente sinonimo di maggiori consumi. Questa speculazione sui prezzi può quindi portare le stesse merci a passare di mano più volte e di riflesso questo processo può alimentarne anche gli spostamenti fisici. Questo scenario si è presentato a sorpresa per produttori e traders stessi che, come già detto, avevano previsto un contesto diverso per non dire opposto, quindi a quanto pare propendendo per una copertura minima. Ebbene sì, stiamo parlando di hedging mancato, non quello classico sui prezzi dei prodotti, ma sul loro costo di trasporto. Come ci si copre generalmente su questo fronte? Logicamente un modo è avere navi di proprietà, ma la fetta più corposa della copertura avviene con contratti di noleggio a tempo (Time Charter). In poche parole si noleggiano navi per periodi medi o medio-lunghi, mesi o anni, che conferiscono una certa autonomia ai noleggiatori per poter muovere i propri carichi aiutandoli a evitare sorprese come un mercato surriscaldato dei noli sullo spot. Parallelamente si è creata una situazione anche più inaspettata e inusuale causata da un altro mercato già in ebollizione, quello delle porta contenitori. Attenzione, non ci riferiamo tanto alla domanda di materie prime rinvigorita dall’eccesso di offerta di quei prodotti finiti che viaggiano nei containers, ma della carenza di navi porta containers disponibili per il loro trasporto. Questa circostanza anomala ha finito col portare via navi dall’unico settore alternativo disponibile per quelle stesse merci, ovvero le porta rinfusa. Ebbene sìssignori, le merci che dovrebbero girare nei containers finiscono anche nelle stive delle bulk carriers.
Ecco un mix micidiale per i noleggiatori di queste ultime trovatisi molto più bisognosi rispetto alle loro errate previsioni a fare improvvisamente i conti con un’altrettanto inaspettata carenza di navi disponibili. Inevitabile quindi la conseguente grande festa del Baltic Dry Index.
Eccoci alle conclusioni che riserviamo alle aspettative, quanto durerà la baldoria del BDI? Il consenso propende per almeno un paio d’anni, ma l’argomento s’intreccia con due questioni calde: prezzi delle materie prime fuori controllo e conseguente rischio inflazione, magari vista la probabile parallela stagnazione anche stagflazione! Tuttavia la spiegazione che la catena di approvvigionamento sia ancora azzoppata dalle chiusure diventa di giorno in giorno meno credibile. Primo perché dovrebbe essere lentamente in costante ripresa, ma ancora di meno perché sembra improbabile possa coinvolgere tutto il comparto senza quasi nessuna esclusione, dal minerale ferroso al carbone, dal rame e ai cereali passando per il legname, insomma tutto fuori controllo e simultaneamente? Anche la ruggente ripresa economica, per ora almeno, rimane materia più da chiaroveggenza dei soliti esperti che non fattualità dei dati reali. Quindi come si spiega?
Personalmente ho la mia teoria e mi auguro sinceramente che sia errata. Avete presente quei fiumi di liquidità senza precedenti immessi dalle banche centrali nell’ultimo anno? Bene, mettiamoli in prospettiva con questo contesto chiamato dagli inglesi “everything bubble” che tanto sembra avere in comune col mercato delle commodities (e non solo). A sorpresa, personalmente, scommetterei contro l’inflazione e proprio per “merito” di certe follie delle banche centrali, ma temo che l’alternativa non farà meno male, anzi, e soprattutto che la fine della festa non riguarderà solo il BDI.
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