È possibile provare ad uscire dalla diatriba “Ddl Zan Sì”-“Ddl Zan No”: qui sul nostro quotidiano abbiamo ospitato in questi mesi (e continueremo a farlo) diversi punti di vista che hanno provato ad approfondire la realtà del disegno di legge anti-omobitransfobia togliendo quei “paraocchi” che spesso vengono indossati dalle opposte “tifoserie”. Sul Giornale oggi lo scrittore Luca Doninelli ha compiuto il medesimo “esercizio” di libero pensiero, conducendo il lettore in un percorso atto a comprendere una realtà ben più “nascosta” dal consueto dibattito sul Ddl a firma Alessandro Zan (Pd): «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti», l’articolo 4 del decreto in questione solleva un punto tutt’altro che “pacifico”.
Secondo Doninelli, non vi è un motivo logico per definire in un articolo la tutela ad una libertà di non essere d’accordo, come se la Costituzione già non lo facesse. C’è un’ansia costante di “prevedere” e “prescrivere” la qualunque che non fa affatto bene alla nostra democrazia: a questa ansia, se ne aggiunge un’altra ben più presente nel Ddl Zan, ovvero quella di “etichettare” e “nominare” qualsiasi cosa/diritto/libertà.
DDL ZAN, IL PROBLEMA DELL’ETICHETTARE
Troppo spesso “nominare” qualcosa, identificare uno stato d’animo, un sentimento o semplicemente un breve passaggio della propria attuale esistenza significa «bloccare, imprigionare qualcosa in una definizione che le impedisce di crescere, di scoprirsi altro da quel nome, da quell’etichetta». Ancora Doninelli lamenta l’esplodere di “identità” (culturali, politiche, religiose) a cui si aggiunge con questo disegno di legge anche quella “di genere” o “sessuale”: solo che un tempo c’erano solo le persone “LGBT”, poi si è aggiunta la “Q” (queer), la “A” (a-sessuale) e il rischio di andare avanti all’infinito è molto probabile.Al di là di tutelare ogni singola discriminazione che è sacrosanto e giusto, il problema rischia di divenire un altro: «Se si moltiplicano le identità nominali e le etichette si indebolisce il rapporto personale con tutto ciò che è altro, rapporto che è il motore di ogni sviluppo e cambiamento». Il problema è più legato al potere e all’esercizio di un modello culturale – conclude Doninelli sul Giornale – in cui «da un lato si proclamano i diritti di tutti, dall’altro la tutela passa attraverso l’istituzionalizzazione di categorie chiuse. […] Ogni tentativo di definire lo “stato di natura” e l’“uomo naturale” ricade nell’ambiguità e rende ambiguo tutto ciò che viene costruito su questo fondamento».