Caro direttore,
sul penultimo Quaderno della Civiltà Cattolica un saggio di padre Giancarlo Pani ha riflettuto su 500 anni fa: l’Europa moderna. Ignazio, Lutero, Carlo V, Magellano. Il mezzo millennio citato è quello trascorso dall’Editto di Worms, con il quale l’imperatore Carlo V bandì Martin Lutero come eretico, non prima di una celebre disputa.
Ma nel maggio 1521 si combatté anche la battaglia di Pamplona: nella quale si distinse – a difesa del regno di Spagna – un gentiluomo basco, Inigo Lopez de Loyola, il quale proprio sul campo di Pamplona (sul quale rimase gravemente ferito) iniziò un itinerario personale che l’avrebbe portato alla fondazione della Compagnia di Gesù e poi alla santità cattolica.
L’articolo merita di essere letto per intero, per ricchezza di spunti e originalità d’angolatura. La tesi – a traguardare la realtà europea di cinquecento anni dopo – è comunque chiaramente enunciata in chiusura. “Carlo V ci ricorda la missione e l’importanza di un’Europa unita; Lutero, il Vangelo per la riforma della Chiesa e il valore della coscienza prigioniera della parola di Dio; Ignazio di Loyola, il servizio di Dio e dell’uomo nella Chiesa, a disposizione del Romano Pontefice, nel discernimento spirituale, nell’annuncio evangelico e in ogni altra opera di carità utile al bene comune; Magellano ci presenta la scoperta della nuova realtà terrestre: quasi una profezia del mondo di oggi e della globalizzazione. Facciamo parte di una Terra più grande di noi, un tesoro da curare e da salvaguardare, dove tutti siamo attori e protagonisti un ideale umano e religioso in cui non conta se uno è credente o meno, ma se è credibile – come diceva il giudice Rosario Livatino – in ciò che vive e fa per il bene comune”.
Un giornalista europeo – certamente ancora “credente” nel contributo dato dalla civiltà europea alla storia della “Terra più grande” – non ha difficoltà a condividere in sé la riflessione e l’esortazione di principio alla “credibilità” storica. Nello stesso istante non può tuttavia fare a meno di notare che – cinquecento anni dopo – l’Europa “di Carlo V, Lutero e Magellano” (un autocrate, un leader religioso, un navigatore coloniale) è tutto fuorché un esempio luminoso nelle narrative politico-culturali correnti. Quell’Europa (senza qualificazioni o distinzioni, forse neppure per il beato Livatino) è additata oggi come caso di credibilità storica infinitamente negativa. È il bersaglio privilegiato di una fatwa che accusa ormai pregiudizialmente l’Uomo Bianco (essenzialmente europeo) di esistere. E l’Uomo Bianco Europeo è wanted proprio per quello che ha fatto negli ultimi cinquecento anni: come – vero o presunto – dominatore coloniale della “Terra più grande”.
È un vero e proprio “crimine storico” quello di cui – nella prospettiva della politically correctness evoluta in cancel culture, arma principe corrente di culture war – l’Uomo Bianco Europeo è imputato. Ed è lasciato libero ormai solo di “confessare”, senza possibilità di difesa. Può solo accettare senza appello la piena responsabilità e quindi tutte le “pene” ritenute adeguate nel ventunesimo secolo. In una sorta di “Norimberga storica” – orchestrata per ora principalmente nelle università e sui media – in prima fila fra gli inquisitori sgomitano, a fianco di uomini e donne non europei, anche molti Uomini Bianchi Europei. Che non si sentono affatto “fratelli/sorelle” degli altri europei in nome di un'”identità” comune, la cui eredità storico-culturale viene invece violentemente respinta.
Il saggio di padre Pani richiama non a torto un appello del cardinale Carlo Maria Martini, fra l’altro leader dei vescovi europei negli anni a cavallo della caduta del Muro di Berlino. “L’Europa che sogno è un’Europa non dei mercati e neppure solo degli Stati, delle regioni o delle municipalità; è un’Europa dei popoli, dei cittadini, degli uomini e delle donne. Un’Europa riconciliata e capace di riconciliare; un’Europa dello spirito, edificata su solidi principi morali e, per questo, in grado di offrire a tutti e a ciascuno spazi autentici di libertà, di solidarietà, di giustizia e di pace; un’Europa che viva gioiosamente […] e generosamente la sua missione”.
L’Europa che “sognava” l’arcivescovo di Milano – e che ancora sognano ad occhi ben aperti molti europei – è però oggi nei fatti contestata “a prescindere”: dal un largo fronte d’opinione non europeo non meno che da molti europei. Non viene data più alcuna chance, alcuna speranza a un Vecchio Continente da rottamare in fretta. Non gli viene più riconosciuta alcuna “generosa missione”. Le statue dei grandi navigatori europei del Cinquecento come Colombo o Magellano vengano abbattute nei campus americani – ma ora anche europei – come effigi di dittatori spodestati per sempre. Su quali spazi di “riconciliazione” – interni ed esterni – possa contare l’Europa “storica”, oggetto di lotta senza quartiere soprattutto da parte della cancel culture, è davvero difficile immaginare.
La Regina Elisabetta II – capo della Chiesa cristiana riformata d’Inghilterra – nei giorni scorsi è stata virtualmente gettata in una cella di un secolare college di Oxford: fondato da un vescovo cattolico poco prima di Worms. Non sembra proprio che i millennial di Oxbridge – nati in Gran Bretagna o in India, in Canada o in Sudafrica, in Egitto, in Cina o in Nuova Zelanda – siano così desiderosi di “riconciliarsi” con l’Europa (cristiana) di mezzo millennio fa: respinta come razzista e imperialista. È più invitante l’esempio dei cancellatori iconoclasti d’Oltre Atlantico, di tutti i politically correct globalisti. Che si sentono certamente “fratelli” tra loro: ma in una globalizzazione élitaria, meritocratica, apolide e secolarizzata. In una permanente esclusività di fondo in cui l’ “inclusione” è la nuova parola-comandamento, ma rivela spesso moda se non interesse. L’unica discriminazione sicura è riservata a chi ancora crede in qualche identità, soprattutto quelle fondate sulla memoria (qualsiasi memoria). E rischia di illudersi chi pensa che, cinquecento anni dopo, Lutero possa essere risparmiato o addirittura adottato dalla cancel culture: come primo “cancellatore” di una Chiesa cattolico-temporale da riformare per il suo stesso bene.
Cinque secoli fa erano certamente i galeoni spagnoli, portoghesi, inglesi od olandesi a solcare gli oceani, a rendere “la Terra più grande”; a “scoprire” le Americhe e a “conquistare” moderne vie commerciali verso l’Asia: con stile inequivocabilmente colonialista. Ma oggi non mancano altre flotte – finanziarie, industriali, tecnologiche e militari – in movimento sugli stessi oceani ma su rotte inverse: quelle che dalla Cina portano in Europa e in America.
Nell’ultimo fine settimana leader del G7 (certamente tutti “uomini bianchi” europei o post-europei, assieme al premier giapponese) si sono riuniti in Europa essenzialmente per discutere su come fronteggiare questa nuova pressione storica: consolidatasi già prima che il Covid portasse dalla Cina nel mondo gli effetti di una guerra batteriologica. Il presidente dem americano Joe Biden (secondo cattolico alla Casa Bianca Washington) non mostra minore diffidenza del predecessore verso il progetto Road and Belt lanciato da Pechino a “connettere” l’Asia e quindi l’Europa stessa. Dubita, la Casa Bianca, che l’espansionismo cinese possa rendere “la Terra più grande” e mette in guardia anzitutto l’Europa contro una nuova colonizzazione globale da parte della Cina: sulle tracce di quella già condotta in Africa, quando il colonialismo europeo se n’è ritirato.
La “comunità delle democrazie occidentali” resta dunque irriducibilmente “diversa” e non sembra affatto disposta a veder cancellata la sua identità. Di fronte a tutto questo, è vero, l’Europa si ritrova incerta, logora, lacerata. Ed è questo a rendere certamente pertinente la provocazione intellettuale di padre Pani: cosa farebbero – oggi – i Grandi Uomini Bianchi Europei di 500 anni fa? E perché dovrebbe aver bisogno di loro un mondo che da anni per loro cova solo “odio storico”?
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