La chiamano maturità facile, esame semplificato, oralone. Danno la colpa alla pandemia, ma poi ironizzano su ragazzi non pronti, maturati con deficit formativo, studenti rimasti indietro. La verità è che l’esame di Stato 2021 è un’occasione mancata, l’ennesima, da parte degli adulti. Avremmo potuto, almeno per una volta, non “parlare dei ragazzi”, bensì far parlare loro, ascoltarli, farli esprimere su questi ultimi due anni, offrire i nostri docenti come lettori appassionati di chi in questo tempo è stato sempre citato, ma poco incontrato, atteso, desiderato. E invece abbiamo preferito far fare loro un elaborato intellettualistico per dimostrare a noi stessi per l’ennesima volta che avevano capito e che loro – i ragazzi – erano stati attenti.
Avremmo poi potuto farli pensare, costringerli a scegliere un brano con cui commentare lo stato delle relazioni umane e sociali del nostro paese, anche in questo caso con l’intento di intercettarli, di dare loro la giusta importanza, di trasformare essi stessi in poesia. E invece abbiamo preparato l’ennesima analisi del testo da chiedere e da valutare, come se la conoscenza letteraria si vedesse dal ripetere le nostre esegesi e non da come loro stessi usino quelle parole per raccontare la vita.
Infine avremmo potuto farli riflettere, dibattere con loro su un problema aperto del nostro tempo, confrontandoci da pari con gli adulti di domani. E invece li abbiamo ancora una volta umiliati con il gioco del materiale a sorpresa, con le nostre mappe concettuali attraverso cui spiegare e capire tutto.
Poteva essere davvero l’occasione in cui un intero paese metteva i giovani al centro in uno sforzo collettivo senza pari, in un puro esercizio di futuro, chiamandoli per nome e imparando dal pensiero libero e consapevole di ciascuno. Invece abbiamo riproposto la solita minestrina riscaldata, un rito senza pathos cui loro stessi non credono più, una Prima Comunione senza alcuna fede verso l’Eucaristia.
I nostri comportamenti alimentano muri, distanze, divisioni da una generazione che non vogliamo sentire, ma solo biasimare, stigmatizzare o – al massimo – interpretare a nostro uso e consumo. Per fortuna tanti ragazzi sanno che molti adulti non sono così, che in diversi li guardano e li riconoscono come interlocutori, come “pari”. Ciò che salverà la scuola e questa maturità non saranno le semplificazioni a cui per l’ennesima volta li abbiamo costretti, dicendo loro fra le righe che non sarebbero stati capaci di fare le cose serie, perbene. Ciò che salva la scuola e la maturità sono dei rapporti in cui un ragazzo può sbagliare e voler bene all’errore che fa: una scuola dove non si sbaglia mai non è un ambiente formativo di livello, è semplicemente un incubo che genera sociopatici.
Passiamo il nostro tempo ad elogiare stili di vita sani e tanti adulti non sanno neanche che cosa questo significhi, avviluppati ad indicibili dipendenze, spingiamo gli studenti a fare le cose in un certo modo e poi forniamo loro un curriculum dello studente color pastello che nessuna azienda considererebbe neppure per un lavoretto stagionale. Continuiamo a difenderli, a fare i gruppi whatsapp dei genitori di quinta, a contestare il voto di maturità, ad affrontare docenti cattivi in loro vece e li lasciamo senza parole, umiliati come quando hai dieci anni e tua mamma interviene a prendere le tue parti in un litigio con i tuoi amici.
Li chiamiamo maturi, ma non siamo disponibili a curarli o a prenderli sul serio, facendo spazio alle loro idee e alla loro voce. Forniamo loro perfino i nostri letti sicuri dove far l’amore, togliendo loro l’ebbrezza della trasgressione e la forza della conquista. Barattiamo la loro drammatica giovinezza con alcuni anni di ulteriore infanzia o pubertà, dimenticando il danno che facciamo nel non farli mai entrare in gioco, nel “pensarci noi” a tutto, dai libri di testo alle tasse universitarie, dalle vacanze pagate con gli amici alla prima automobile dopo la patente. Impediamo loro di crescere e li strattoniamo perché fanno le risse nel tempo libero o stanno sempre al cellulare come se la vita si imparasse su Netflix.
Alla luce di ciò la maturità non è niente altro che lo specchio di una Next Generation dimenticata, forse abdicata. Questo stanco rito di questo stanco esame giunge così al termine. E per l’ennesima volta il tema dunque siamo noi adulti, le nostre insicurezze, la nostra incapacità di regalare ai nostri figli uno spazio di umanità vera, una strada dove rischiare. Una semplice notte prima degli esami.
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