È l’effetto-Draghi: il premier neutralizza i problemi politici degli schieramenti che lo sostengono, rendendoli pressoché ininfluenti per le sorti del governo. In più, caricandosi sulle spalle l’atlantismo dell’Italia, ne scioglie temporaneamente le contraddizioni in politica estera. A dirlo è Stefano Folli, editorialista di Repubblica. “Ma se la destra ha il problema della collocazione europea, la sinistra ne ha uno ancora più grande”. E chi rischia di più, nel prossimo appuntamento delle comunali, è il Pd.
Perché Berlusconi ha questa fretta di fare il partito unico?
Per tre ragioni. La prima è che vuole stare al centro della scena. Si rende conto che se l’operazione rimane a metà, come nel caso della federazione, il merito finisce per prenderselo solo Salvini e lui resta con una serie di questioni irrisolte sul piano interno.
Cioè tutti quelli che si oppongono a questa soluzione.
Alcuni dei suoi vogliono andare avanti su questa strada, altri sono diffidenti. Il partito unico, paradossalmente, serve a mascherare questi dissensi e a riportare il baricentro su un piano di moderazione di cui lui fa da custode e garante.
Seconda ragione?
Berlusconi vuole coinvolgere anche la Meloni per non ritrovarsi prigioniero di Salvini. Salvini ha già detto che il patto dev’essere con FI, ma non con FdI perché la Meloni è all’opposizione.
Giusto o sbagliato?
Ha un senso politico che sia così.
Terzo punto?
Berlusconi spera nel Quirinale. Naturalmente non è certo di riuscirci ma ci spera davvero, e pensa che il partito unico lo possa avvicinare al traguardo.
Ha avuto buon gioco Salvini nel dire che una fusione adesso non si può fare.
Sono d’accordo. Resta il fatto che Berlusconi, dal suo punto di vista, deve accelerare i tempi: perché è anziano e perché c’è la scadenza del Colle che incombe. Ma soprattutto perché non vuole sembrare il vassallo di Salvini.
La sua previsione?
Non vedo all’orizzonte nessun partito unico.
La federazione serve solo a non farsi superare da FdI?
C’è questo elemento, credo più da parte di Salvini. A Berlusconi interessa meno.
Lei non vede, con l’eclissi del Pd e l’arrivo di Draghi, la mancanza di un partito-perno del nuovo sistema politico e il tentativo di costruirlo?
Senza dubbio c’è anche questo aspetto. Resta il fatto che Berlusconi ha più interesse a costruire un’eredità politica, mentre Salvini, a mio modo di vedere, a non farsi superare da Meloni.
FdI è destinato a crescere ulteriormente?
Difficile dirlo. A prima vista si direbbe che ha raggiunto il suo limite. Dipende da molti fattori che ancora non conosciamo.
Ad esempio?
Se Draghi ha successo, come sta avendo, l’ascesa di FdI è probabilmente destinata a fermarsi. Poi, va detto che la Meloni per lo più sottrae consenso agli altri partiti del centrodestra. Più qualcosa che viene da M5s in crisi.
A proposito di M5s. Dove vanno quei voti in uscita?
Non lo sappiamo. Quello che colpisce è che il Pd non prenda nemmeno un voto dalla crisi dei 5 Stelle.
Della federazione o fusione abbiamo detto. Altra cosa è il profilo politico del centrodestra in Europa.
È un punto fondamentale. È chiaro che Salvini e la Meloni devono decidere cosa essere in Europa. Per questo dico che il partito unico è molto lontano. È chiaro che Salvini non può essere alleato dell’estrema destra se sta in un partito unico con Berlusconi che è esponente del Ppe. Idem per la Meloni.
Potrebbero convertirsi entrambi sulla via del popolarismo europeo.
Mi pare poco realistico, anche se c’è una parte della Lega che preme per entrare nel Ppe. Bisogna poi vedere come la Cdu-Csu esce dalle elezioni tedesche.
Cosa potrebbe cambiare?
Dopo il voto, a seconda dell’esito, potrebbe esserci qualche interesse a favorire l’arrivo di un partito come la Lega.
Il Pd presenta i candidati alle primarie di Roma in un palazzo occupato, lo SpinTime. Sostiene Draghi ma è alleato dei 5 Stelle filocinesi. Tutto a posto?
Se la destra ha il problema della collocazione europea, la sinistra ne ha uno ancora più grande. Il rilancio della Nato in chiave anti-cinese pone una questione molto seria non solo al M5s ma anche al Pd. D’Alema difende i meriti storici del comunismo, ma oggi non ha un peso politico, mentre i 5 Stelle sì. M5s dovrà chiarire cosa vuol fare e dove si colloca; se non lo fa, la sua ambiguità si estende anche al Pd.
È un problema risolvibile?
Se il partito di Grillo si esprime con una voce sola per una linea saldamente occidentale, sì. Ma lo farà? Finora non è successo e neppure il Pd pone la questione.
Cosa prevede per le comunali di autunno?
Il centrodestra rischia molto, perché pur con tutte le sue contraddizioni, se si votasse oggi alle politiche vincerebbe probabilmente a mani basse. Invece sul piano amministrativo dimostra di avere grandi difficoltà legate alla debolezza della propria classe dirigente locale. E così si ritrova con personaggi dalla credibilità non eccelsa.
A chi pensa? A Damilano a Torino, a Maresca a Napoli?
No, penso a Roma, e non a Matone, che è persona conosciuta e stimabile, ma a Michetti. In ogni caso, la lentezza con cui stanno decidendo dimostra che ci sono problemi.
La sinistra invece ha una linea del Piave?
Se perde Roma si troverà in enorme difficoltà.
Concentriamoci su Roma.
Il voto di Roma ha valore nazionale, vale tutte le altre città. Si fa presto a dire alleanza competitiva e poi apparentamento (con M5s, ndr), come fa Gualtieri. Ma se al secondo turno ci fosse una destra forte e Gualtieri dovesse cercare i voti dei 5 Stelle oltre a quelli di Calenda, già questo sarebbe un problema.
Cosa pensa di Gualtieri?
Solo se vincesse, Letta potrebbe tirare un sospiro di sollievo. Se perdesse sarebbe un disastro politico.
E se il Pd si trovasse a votare Raggi al secondo turno?
Altro problema. Dovrebbe o essere “agnostico”, infischiarsene di Roma, o votare Raggi per evitare la vittoria della destra. Sarebbe una contraddizione politica tremenda.
Letta ci rimetterebbe la poltrona?
È prematuro dirlo, dipende dagli altri risultati. Ma resta il fatto che per il Pd una sconfitta a Roma sarebbe un disastro.
(Federico Ferraù)
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