I consulenti del lavoro hanno rilanciato il grido di allarme sull’affollamento del calendario fiscale che è rimasto tale nonostante gli annunci delle norme che dovevano “semplificare” riducendo gli oneri amministrativi e gli adempimenti burocratici.
Chi si è divertito, o impegnato, a contare gli adempimenti in scadenza a carico di tutte le tipologie di contribuenti ne ha contati 144 e sono tutti concentrati nei giorni che mancano fino al 30 giugno. Anche quest’anno la scadenza dei versamenti delle imposte Irpef, Ires, addizionali varie, Imu, per le famiglie, le imprese e i professionisti giunge alla fine del lockdown. Le imprese hanno di fronte un ingorgo di scadenze e versamenti. Sono chiamate a versare le imposte sui redditi del 2020 e gli acconti per l’anno 2021 senza che abbiano avuto in molti casi potuto versare, per mancanza di liquidità, quelle riferite al 2019.
La caduta del Pil registrata per effetto del lockdown, sospeso solo nei mesi di luglio e agosto dello scorso anno, non ha consentito a una larga parte degli operatori economici di lavorare e ciò è stato solo marginalmente attenuato dai sussidi erogati. Lo scorso anno avevamo commentato come interessante la proposta Colao che nel bocciare l’impostazione del Decreto rilancio, che si è dimostrato non in grado di rispondere al bisogno di liquidità delle imprese, individuava come prioritaria la necessità di rendere liquidi i crediti già presenti nei bilanci delle aziende.
Passi avanti si sono fatti in tema di compensazione dei debiti fiscali e previdenziali ampliando il tetto alle compensazioni e agevolando le compensazioni. In realtà la proposta Colao non fu colta e oggi ancora di più se ne avverte l’esigenza. Il precedente Governo e anche quello attuale non hanno affrontato il tema dei pagamenti/versamenti differiti. Anche il prossimo rinvio di cui si parla che posticiperebbe a settembre la ripresa dei pagamenti sospesi da marzo dello scorso anno non coglie nel segno.
Di fatto si prosegue nel medesimo solco sin qui percorso. Si chiede alle aziende di indebitarsi presso le banche o di attingere ai risparmi per versare le imposte senza offrire loro alcuna alternativa. Implicitamente si sta applicando una patrimoniale trasformando il debito verso la collettività in debito verso il sistema bancario o incidendo sul risparmio.
Il Covid ha reso evidente la necessità delle riforme che sono la strada maestra e la leva fiscale è un passo ineludibile. Il dibattito attuale, invece, segue quello degli ultimi trent’anni che ci vede divisi, vero sport nazionale, tra flat tax e progressività. Un anno fa concludevamo un intervento sul medesimo tema di oggi evidenziando che la politica non vuole affrontare il tema delle riforme. C’è da sperare che questo Governo non attenda proposte unanimi. Così non può essere e così non sarà.
In molti si sforzeranno di fare proposte guardando al loro interesse. Questa volta ci vorrà autorevolezza per scegliere.
La politica deve convincersi che non può limitarsi a guardare i sondaggi settimanali, ma deve guardare alla scadenza elettorale del 2023. Le scadenze rinviate da oltre un anno vanno spalmate su più anni e soprattutto occorre intervenire in maniera decisa sulle sanzioni comprese nei pagamenti scaduti. Diversamente argomentando si può sintetizzare che si discute di semplificazione solo a parole. La stessa Agenzia delle Entrate ha affermato che la fattura elettronica non convince addebitando le colpe all’eccesso di privacy. Forse bisogna ascoltare l’ex ministro Visco il quale lo scorso anno ha ammesso che il fisco telematico non lo convince pienamente.
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