Il tour della ripresa porta Ursula von der Leyen a Roma martedì, esattamente a Cinecittà. Si farà un po’ di cinema (in senso figurato) perché la stessa Presidente della Commissione è attenta ai messaggi simbolici e alle immagini. Ma in sostanza sarà l’occasione per confermare che il Pnrr italiano riceverà il via libera così com’è accaduto ai piani della Spagna (l’altra grande beneficiaria del Next Generation Eu), del Portogallo, della Grecia e della Danimarca.
Mario Draghi, dunque, ha convinto Bruxelles, adesso dovrà convincere i governi, perché l’ultima parola spetta al Consiglio che si riunisce a fine luglio. Il ministro dell’Economia Daniele Franco si è detto ottimista: “Ci aspettiamo che anche il Consiglio si esprima favorevolmente”, ha dichiarato.
Allo stato attuale non si prevedono colpi di scena, la partita si è giocata nei mesi scorsi e ha visto in campo tre schieramenti: i Paesi beneficiari, quelli che ricevono la maggior parte dei prestiti e degli stanziamenti a fondo perduto (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia), i Paesi che danno molto e prendono poco (coincidono grosso modo con il fronte degli austeri) e i due grandi che hanno tenuto le fila finora facendo da punto di equilibrio, cioè la Germania e la Francia. Alcuni alzeranno il ditino (tra questi l’austriaco Sebastian Kurz indebolito in patria dov’è indagato per falsa testimonianza), ma a questo punto i problemi vengono dopo, cammin facendo.
I fondi europei non arriveranno subito, ma verranno in qualche modo centellinati nel corso dei mesi e degli anni, in relazione all’avanzamento dei programmi contenuti nei piani nazionali. Una prima tranche (circa 25 miliardi di euro) sarà versata all’Italia entro l’estate. In generale verrà esercitato un controllo attento, caso per caso. La legislazione prevede che un governo il quale abbia dei dubbi sull’effettiva realizzazione delle misure adottate possa sollevare la questione e portarla sul tavolo dei capi di stato e di governo. Ciò riguarda gli investimenti, ma anche le riforme. Nell’uno e nell’altro caso, dunque, bisogna assicurare una gestione ferrea del piano, i dubbi che l’Italia sia in grado di farlo per alcuni anni, durante i quali con ogni probabilità cambieranno i vertici dello Stato e i governi, sono molto forti e le cancellerie europee non lo nascondono. Ecco perché Draghi ha costruito una complessa struttura di controllo a palazzo Chigi, della quale egli è il responsabile in ultima istanza, composta di esperti sotto l’ala, di fatto, di Francesco Giavazzi, il principale consigliere del capo del governo, del quale Draghi si fida come di se stesso.
Due questioni strettamente intrecciate tra loro sono già emerse e il presidente del Consiglio ha mandato messaggi chiari: la prima riguarda le Regioni, la seconda il mercato del lavoro. Il governo è pronto a commissariare le Regioni che non si attiveranno per spendere le risorse finanziarie disponibili, 500 milioni di euro quest’anno, 4,5 miliardi nei progetti contenuti nel Pnrr, per ridisegnare le politiche attive sul lavoro, allestire i Centri per l’ impiego dove non ci sono, assumere le figure chiave e necessarie per la formazione di chi è escluso dal mercato del lavoro e percepisce un reddito di cittadinanza, o per l’inserimento nel mercato di chi ne è rimasto escluso. Da Barcellona, Draghi ha spiegato che senza un sistema efficiente, si lasceranno indietro migliaia di persone, magari l’economia si riprenderà, ma creando ulteriori diseguaglianze, differenze di reddito, forbici più ampie fra classi sociali, ricchi più ricchi e poveri più poveri. Sono nel mirino le barocche costruzioni inventate dai grillini nei governi Conte 1 e Conte 2, a cominciare da figure bizzarre come i tutor. Secondo Il Corriere della Sera un piano di massima è stato già abbozzato, prevede una supervisione nazionale alle politiche attive sul lavoro che oltre al rilancio dell’Anpal, si spingerà, appunto, sino a espropriare le competenze dei governatori inerti che non spendono il denaro a disposizione.
Anche in questo campo, l’ultima parola spetta a palazzo Chigi attraverso le strutture di controllo che hanno già sollevato i primi mal di pancia nei partiti. Il vicesegretario del Pd Giuseppe Provenzano ha messo nel mirino gli economisti liberisti, ma non sfugge che il bersaglio grosso si altrove. Draghi decide, in tutto e su tutto. Lo si è visto adesso sulle vaccinazioni eterologhe, senza curarsi di smentire i suoi ministri esautorandoli di fatto. Lo si è visto sulle nomine nelle aziende pubbliche attraverso le quali passano delicati equilibri di potere. Ora è atteso alla prova del nove, cioè le nomine ai vertici della Rai che da sempre sono di natura politica. Per smussare gli angoli e ricomporre i contrasti, Draghi interviene direttamente, con colloqui faccia a faccia (più volte lo ha fatto con Matteo Salvini) e anche questo bypassa le mediazioni partitiche. A soffrirne più di tutti è una formazione politica ormai sfarinata come il M5S, ma anche il Pd sembra restare a bordo campo, perché diviso e perché il segretario Enrico Letta, smentendo tutte le previsioni, non si è trovato finora in sintonia con Supermario. Lo dimostra lo scivolone sull’aumento delle tasse stroncato da Draghi con una frase micidiale: non è il momento di prendere, ma di dare.
Intendiamoci, sono tutti rumori fuori scena, ma quando arriveranno davvero i miliardi e si tratterà di spenderli, le comparse di oggi vorranno diventare prime donne.
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