Nord, Sud, Recovery: la frattura da evitare

Si sta combattendo una guerra non dichiarata per portare la maggior parte dei fondi del Recovery in aree diverse da quelle che ne avrebbero realmente bisogno

La crescita del Pil attesa per i prossimi mesi porterà un contributo essenziale al recupero di posti di lavoro ed alla stabilità economica nel Paese. Servirà a dare fiato alle riforme ed a dimostrare che la scelta di puntare su Draghi è stata vincente.

La narrazione che ha accompagnato il passaggio ad un governo più ampio guidato da un personalità forte troverà così ogni sua giustificazione. Quel che però conterà davvero non sarà tanto il dato aggregato quanto misurare l’impatto che le misure adottate dal Governo avranno nel Mezzogiorno e negli altri territori.

Come sta emergendo in questi giorni, infatti, la differenza tra le diverse aree del Paese in termini di risorse disponibili è molto sensibile.

Non tutte le risorse promesse nei piani, infatti, sembrano essere messe realmente a disposizione per superare il divario territoriale nelle consistenze necessarie e da molte parti si susseguono gli allarmi per evitare che si perpetui un ennesimo ed ingiustificato utilizzo delle somme del Recovery plan per far crescere ancor di più il Nord. Il Mezzogiorno lamenta da sempre il blocco della spesa storica e la ministra Carfagna ha ammesso che i livelli dei servizi essenziali non sono distribuiti in maniera omogenea nel Paese. Il Mezzogiorno, sostiene la Carfagna, ha sofferto di un deficit di investimenti e spesa corrente strutturale tale da rendere nella sostanza inattuato il principio di eguaglianza dei cittadini. Una discriminazione territoriale che, come più volte detto, è alla base delle generosa messe di fondi che l’Europa ha destinato all’Italia.

Nella redistribuzione delle risorse i saldi mostrano che, rispetto alle attese, manca almeno la somma aggiuntiva dei fondi nazionali allo Stato, che non si comprende ancora come andranno rifinanziati e con che consistenza.

Il Mezzogiorno, inoltre, è totalmente sparito nella scelta delle professioni di alto profilo da utilizzare per gestire il Recovery Plan.

Molti esponenti dell’Accademia meridionale e molti esperti che hanno mostrato attenzione e dedizione ai temi dello sviluppo sono stati lasciati in panchina, così avanza un linea di promozione di relazioni che esclude il Mezzogiorno.

La scelta non sembra causale, anzi testimonia che sotterranea e subdola si sta combattendo una guerra non dichiarata per portare la maggior parte dei fondi in aree diverse da quelle che ne avrebbero realmente bisogno.

La giustificazione sembra essere la solita. Se investi in contesti economici già avanzati il ritorno sarà maggiore di quello che otterresti investendo in aree depresse. Per questo meglio alleggerire la pressione fiscale, dare supporto all’economia del Nord, sviluppare servizi nelle aree che già ne hanno piuttosto che portare le risorse in aree che rischiano di non mostrare benefici.

Così ad esempio appare ora incomprensibile il ritardo sulle Zes ed il tentativo di allargare le platee territoriali di riferimento. Le Zes erano concepite proprio per dare un boost alle economie depresse con il carburante delle defiscalizzazione, offrendo aree in cui far insediare nuove iniziative con meccanismi semplificati. Un grande traguardo a portata di mano che Provenzano non ha saputo o voluto raggiungere e che la Carfagna rischia di sacrificare definitivamente. C’è da chiedersi il perché. E la risposta è che forse non si vuole insediare nel Mezzogiorno una filiera logistica e produttiva che possa effettivamente attrarre nuove iniziative a scapito di altre aree del Paese.

È un sospetto alimentato dalla poca chiarezza sul futuro di questa iniziativa e dalla assenza di un vero meccanismo di dialogo con i territori e le imprese del Mezzogiorno, aggravato dalla mancanza di voci autorevoli e stoicamente attente ai temi della crescita di questa parte del Paese.

Il Governo, insomma, sembra avere nelle sue premesse perfettamente aderito alla necessità di portare avanti il progetto di equilibrio tra i territori  e superare le differenze tra Nord e Sud, ma nell’attuazione le sue politiche segnano che il passo e le decisioni sono affidate ad esperti ed esponenti di scuole di pensiero che ad oggi non paiono avere al centro della riflessione questi temi.

Sarebbe del tutto lecito se tutto questo accadesse alla luce del sole e se le risorse fossero “libere” da vincoli. Ma la sfida che l’Europa ha lanciato e le risorse che ha messo a disposizione del Paese hanno come obiettivo quello di dare al Mezzogiorno una nuova vita ed un nuovo sentiero di crescita. E questo non può essere dimenticato o eluso mettendo da parte le sfide del Mezzogiorno, i suoi diritti le sue intelligenze, facendo credere che sia tutto frutto di un caso. Gli indizi portano altrove. Draghi deve fare chiarezza e mostrare, anche nella scelta di chi è chiamato a gestire questa delicata fase, che le premesse da lui enunciate verranno seguite da fatti consequenziali e certi. Le risorse che sono state date al Paese per il Mezzogiorno devono essere investite nel Mezzogiorno, partendo dai troppi deficit di diritti e di opportunità che ora non sono più tollerabili.

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