Qualcosa comincia a scricchiolare. Pesantemente, ancorché l’ordine di scuderia del 99% della stampa italiana sia quello di evitare come la peste il reato di lesa maestà nei confronti del presidente del Consiglio. Ma la crisi in casa M5S sta inviando scossoni decisamente pesanti al Governo, seppur ancora sottotraccia. Sono stato facile profeta nel prevedere come il Covid, quasi di colpo, sarebbe tornato a monopolizzare la scena politico-economica europea.
In Italia, però, la questione appare più seria. Perché quando il numero uno del Cts Franco Locatelli arriva all’esercizio equilibristico di comunicare pressoché in contemporanea la riapertura condizionata delle discoteche e la necessità di una riflessione rispetto l’istituzione di zone rosse mirate per bloccare i contagi della variante Delta, il segnale che arriva al Paese è imbarazzante. Ordine sparso al potere, per l’ennesima volta. Tanto più che, in contemporanea, il generale Figliuolo annuncia un drastico calo nella disponibilità dei vaccini per il mese di luglio e alcune regioni, soprattutto al Sud, già denunciano allarmate il crollo delle prenotazioni. Detto fatto, la letale sindrome del liberi tutti dell’estate 2020 si incontra con la necessità di mediazione politica. Il cocktail perfetto verso il disastro.
A nessuno, d’altronde, è sfuggita la pesantezza di tratto con cui Mario Draghi – per due volte in due giorni – ha rimarcato come la pandemia sia tutt’altro che battuta e come sia il caso di togliersi subito gli occhiali con lenti rosa che abbiamo inforcato con troppo entusiasmo, all’atto di ritorno collettivo in zona bianca. Prima nelle comunicazioni alle Camere, poi addirittura al Consiglio europeo. La variante Delta mette a rischio la ripresa, quasi un mantra. Perché allora quel via libera parziale alle discoteche? Semplice, perché è uno dei cavalli di battaglia della Lega. E con M5S nella bufera, Mario Draghi non può permettersi contemporaneamente la presenza di due variabili a rischio impazzimento in seno alla maggioranza.
Ma che la situazione stia sfuggendo di mano, lo conferma implicitamente quanto accade sul fronte dei licenziamenti. Non potendo permettersi un’altra proroga tout court del blocco, stante la bacchettata già ricevuta in merito dall’Europa, il Governo sta raschiando il fondo del barile delle deroghe con il differimento selettivo per comparti. Un brodino, perché l’autunno sarà comunque pesante. Molto pesante.
Certo, arriveranno i primi miliardi del Recovery Fund. Ma siamo certi che bastino? Gli scostamenti posti in essere dal Governo Conte-bis prima e Draghi poi hanno spedito la ratio debito/Pil alle stelle e quella del deficit anche peggio, siamo nell’ordine di un extra-indebitamento per oltre 100 miliardi: un quarto lo copre l’anticipo di quanto ottenuto in sede Ue ma il resto, quando arriverà? Certo, la Bce sta di fatto sterilizzando ex ante il debito che acquista, abbassando e di parecchio le pressioni sui costi di servizio e allungando le maturities (passate da 5 anni a 8,5 anni di media addirittura per la Germania), ma il Pepp non sarà eterno. Formalmente, il 31 marzo 2022 chiuderà i battenti. E anche volendo assumere come realistico quanto descritto da Barclays in questo grafico contenuto nel suo ultimo studio, ovvero un utilizzo mediano dell’envelop per il 2022 sostanziabile in 700 miliardi di euro (circa 230 miliardi al mese, tenendo buona la data di chiusura statutaria e ufficiale del programma di acquisto), prima o poi i mercati – intesi come soggetti che investono denaro proprio e dei clienti in assets e securities – dovranno operare un re-pricing del debito sovrano dell’eurozona. Ovvero, bilanciarlo e ponderarlo in base alla mancanza di sostegno strutturale della Bce.
E non solo per il giubilato ex Club Med, persino per la Francia in cerca d’autore delle presidenziali di primavera. Ecco, quindi riapparire il Covid. Anzi, la variante Delta. La quale, di colpo, è schizzata al 16,8% del totale dei casi di nuovo contagio tracciati nel nostro Paese. Fino alla scorsa settimana, si parlava a malapena del 3-4%. Quindi, delle due l’una: o i dati vengono gonfiati ad arte in base alle necessità, ipotesi che mi sento e voglio in cuor mio escludere, oppure le condizioni ambientali poste in essere dal passaggio collettivo in zona bianca hanno operato da detonatore. Tertium non datur. Detto fatto, si torna a parlare di zone rosse. Di colpo, quasi dalla sera alla mattina. Quasi fossimo in un incubo senza fine, nel giorno della Marmotta. O nel proverbiale videogame popolato da mostri immortali di Giulio Tremonti.
Il Portogallo sta richiudendo l’area di Lisbona, la Gran Bretagna gioca alla roulette russa con gli Europei e la spacconeria un po’ disperata e molto irresponsabile di Boris Johnson, la Germania millanta sicurezza, ma al ministero della Sanità parlano già di quarta ondata. La Francia, proprio perché nel turbinio elettorale che oggi vedrà 47,7 milioni di cittadini chiamati al voto per il secondo turno delle regionali e poi vivrà una lunghissima campagna elettorale verso le presidenziali di aprile, attende e si comporta un po’ come l’Italia. Leva le mascherine, riapre i bistrot, ma sempre con la cautela a portata di mano. Pronta a essere tirata fuori in fretta e furia, come il biglietto del tram quando sale il controllore.
Parigi e Roma, unite dal problema della governabilità. E della dipendenza esiziale dalla Bce. Perché penso che a nessuno di voi sia sfuggito come la Germania, attesa il 26 settembre da un voto legislativo addirittura storico per il post-Merkel, praticamente la caduta di un altro muro di Berlino, non stia inviando segnali di impazzimento interno. Anzi, il ministro delle Finanze, Olaf Scholz, ha appena comunicato extra-indebitamento per 97 miliardi anche nel 2022 e la Cancelliera uscente ha già tracciato la strada al suo successore: nei prossimi anni, il Paese dovrà spendere cifre enormi per riprendersi dalla pandemia. Ecco la differenza che intercorre tra avere i conti in ordine e dover rincorrere lo spread o i deficit allegri. Ciò che viene dipinto come volontà punitiva dei primi della classe, in realtà altro non è che comportamento da buon padre di famiglia.
In tal senso, il continuo richiamo a revisioni del Patto di stabilità da parte di Mario Draghi non depone a favore di un post-pandemia da protagonisti: al netto della censura pelosa da parte di tutta la stampa, il Consiglio europeo appena conclusosi ha infatti visto l’Italia battuta su tutta la linea. Unione bancaria e immigrazione, due a zero per i cosiddetti falchi. Senza che mai Roma e i suoi alleati, veri o presunti, abbiano toccato palla o superato la metà campo. C’è da sperare che la crisi – profonda e potenzialmente terminale – in casa M5S giunga a un epilogo chiaro in fretta, qualunque esso sia: perché un’estate con il principale gruppo parlamentare in ordine sparso e a rischio di implosione, apre le porte a scenari inquietanti di ingovernabilità e ricatto continuo. Stante anche la perdurante erosione di consensi della Lega, ormai appaiata a Fratelli d’Italia e superata da un Pd che, per diretta ammissione del suo segretario, già prende le distanze dall’esecutivo, promettendo ai suoi elettori mai più al governo con Salvini.
Tra aria di campagna elettorale, per quanto latente e sottotraccia. Non stupiamoci, quindi, se nel pieno dell’estate, si sceglierà di sacrificare un’altra stagione turistica e si darà vita ad alcune zone rosse mirate: il Covid ormai è arma di lotta politica e, soprattutto, di strategia economica. E l’Italia è tutt’altro che uscita dall’emergenza, in tal senso. Come onestamente e in maniera sempre più platealmente preoccupata Mario Draghi ha ricordato più volte nelle ultime ore. Tutt’intorno, non a caso, il Ddl Zan e la sua polemica paradossale. L’arma di distrazione di massa perfetta. Ma anche rivelatrice del clima.
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